JallaJalla – Storia delle peperonata

Registrazione della puntata dell’11 febbraio 2011, in studio con Paolo Maggioni (JallaJalla – Radio Popolare), dedicata alla storia della peperonata.

11 febbraio 2011 – storia della peperonata

Nell’intervista tsukemono di peperoni di Enrico Venturelli


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Scansione estetica di sandwich

 

La foto, anzi la scansione, è proprio di grande effetto. Il sito, http://scanwiches.com/, l’ho trovato segnalato su un blog che consulto spesso e che ha sempre notizie sfiziose e interessanti (“Confessions of a food stylist” – http://www.robertadeiana.com/).

march 21 - Homemade: Fried Bologna, Cheddar Cheese, Shredded Iceberg Lettuce, Mayo, On a Lightly Toasted Roll

Mi hanno colpito sia le inconsuete foto (anzi, scansioni: ma ogni volta puliranno il vetro tutto unto?), che soprattutto la sottile nevrosi che si cela dietro ogni mania catalogatrice: la conosco bene per i vari studiosi che frequento, archeologi soprattutto, e non smette mai di incuriosirmi. In scanwiches le immagini sono rigorosamente catalogate in ordine cronologico (una scelta apparentemente asettica), sono accompagnate dalla data, dalla puntuale descrizione degli ingredienti e dalla indicazione della sua fattura: casalinga o professionale.

Mancano delle note che considererei banali, come chi lo ha preparato (chi ha scansito? Un’amica/o? moglie/marito?), se è piaciuto (alcuni accostamenti sono decisamente inconsueti), perché quella scelta e perché la scansione. Ma forse ho solo nevrosi diverse.

 

novembre 11 - Homemade: Italian Sausage, Caramelized Onions, Roasted Red Peppers, On a Baguette

Il sito, come motto, recita un curioso Scans of sandwiches for education and delight, dove passi la potenziale delizia dei sandwich, ma mi sfugge dove sta l’educazione. Forse perché in Italia il sandwich è comunque da considerarsi un innesto tra i tanti che arrivano da altre culture. Qui, fino a qualche decina di anni fa, si parlava al massimo di “panino imbottito”, dove per imbottito si intendevano solitamente i salumi: quei magnifici prodotti della tradizione che, nati per la necessità di conservare la carne del maiale ucciso, sono diventati poi un prodotto ricercato a causa proprio della loro bontà.

Spesso nei sandwich le salse coprono il sapore, anche se non manca in questo sito un semplice ripieno di prosciutto di Parma (da: Eatitaly).

Che dire poi. Più che scorrettezza per questi sandwich bisognerebbe parlare di prodotti ormai senza correttezza, ovvero al di fuori delle convenzioni: a ognuno il suo ripieno (che sia questa l’educazione del messaggio? Il sandwich come atto libertario? Mah…).

 

 

 

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Risotto con il brodo di fagioli neri

Il brodo di fagioli è una di quelle “scoperte” che mi hanno aperto numerose e gradevoli possibilità. Di per sé è una sciocchezza: quando si lessano i fagioli secchi, e io lo faccio con pentola a pressione per comodità, si conserva l’acqua di cottura che non solo è un liquido che trattiene tutte le sostanze rilasciate dai legumi in cottura, ma è anche utile in alcune preparazioni. Anzi, solitamente, di acqua ne metto un po’ più del necessario per avere il brodo a disposizione.

Qualche tempo fa avevo scoperto che in molte cucine tradizionali era una pratica comune usarlo come base di minestre o addirittura per fare la polenta.

Polenta e fagioli neri

L’ultima applicazione che sto usando sempre più spesso è per fare il risotto.

Premetto: mai fatto il brodo con il dado, sempre e solo con la carne. Qualche volta ho tristemente preparato il brodo con le verdure, qualche volta per mancanza di materie prime o per fretta, oppure perché a cena c’erano amici vegetariani. Ma il risultato non mi ha mai convinto, è poco saporito, un po’ slavato.

Ora invece uso con grande soddisfazione il brodo di fagioli, non solo per avere un piatto senza carne (abbiamo molti amici vegetariani!), ma anche per quelle preparazioni dove il brodo di carne potrebbe essere troppo invasivo: ad esempio per certi risotti con le verdure o, al contrario, per stemperare un po’ l’eccesso proteico (ottimo il risotto preparato qualche mese fa con la salsiccia di cavallo, già di suo molto forte).

La preparazione è talmente semplice che non andrebbe neppure raccontata. I fagioli a bagno per una notte, la lessatura con carota, cipolla e alloro. Poi i legumi si tengono da parte per preparare un secondo e il brodo si usa per il risotto.

L’altra sera i fagioli erano neri (Feijão preto) e il risotto con la zucca ha preso un’affascinante tonalità scura.

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JallaJalla – Storia del caffè

Registrazione della puntata del 28 gennaio 2011, in studio con Paolo Maggioni (JallaJalla – Radio Popolare), dedicata alla storia del caffè.

28 gennaio 2011 – Storia del caffè

Chiara nell’intervista racconta del suo Caffè al cardamono, preparato con la moka.

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JallaJalla – Storia del Pesto genovese

Registrazione della puntata del 14 gennaio 2011, in studio con Paolo Maggioni (JallaJalla – Radio Popolare), dedicata alla storia del Pesto genovese.

14 gennaio 2011 – storia del pesto

Aggiungo i testi delle più vecchie ricette di Pesto che sono riuscito a trovare. Notevole è la diversità con il testo ufficiale, si trattava di una salsa prevalentemente d’aglio, a volte invece del basilico si poteva mettere prezzemolo o maggiorana, niente pinoli, niente pecorino (ma formaggio olandese!). Una distanza tanto forte dai disciplinari registrati in Europa da ridimensionare questi testi ufficiali, rigidi e minacciosi, e confermare serenamente che la cucina è in movimento, che la tradizione è in divenire… (e la versione del Dinone, nell’intervista, ci può anche stare…).

Pesto d’aglio e basilico

Mettete in un mortaio tre o quattro spicchi d’aglio mondati, alcune foglie di basilico fresco o conservato nell’olio (n° 5), un poco di formaggio di Olanda e parmigiano, grattugiati e mescolati insieme, e pestate il tutto finché non l’abbiate ridotto a una pasta, la quale scioglierete poi con ottimo olio in abbondanza. Con questo pesto si condiscono al magro le lasagne, i tagliatelli ed i gnocchi, unendovi prima qualche cucchiaiata di acqua bollente, di quella in cui si sarà fatto cuocere la pasta, a fine di renderlo più liquido.

La vera cuciniera genovese facile ed economica, Giacomo Arneodo, Torino 189?, p. 25

Battuto o sapore all’aglio (Pésto)

Prendete uno spicchio d’aglio, basilico (baxaicò), e, in mancanza di questo, maggiorana (pèrsa) e prezzemolo (pôrsemmo), formaggio sardo e parmigiano grattuggiati e mescolati insieme, e pestate il tutto in un mortaio con poco burro finchè sia ridotto in pasta, Scioglietelo quindi con olio fino in abbondanza. Con questo battuto si condiscono le lasagne, i tagliolini e i gnocchi (troffie) unendovi anche un po’ d’acqua calda senza sale per renderlo alquanto più liquido.

Giovanni Battista Ratto, La cuciniera genovese, Pagano, Genova 1893, p. 43

Pesto all’uso di Genova

Questa non è una minestra, ma lo mettiamo qui, come quello che serve di condimento a molte minestre. Pestate nel mortaio alcuni (tre o quattro) spicchi d’aglio e qualche foglia di basilico; grattate e mescolate insieme del buon parmigiano e del cacio d’Olanda. Fate un impasto e stemperatelo con olio sopraffino abbondante. Al momento di servire, versateci dentro due o tre cucchiaiate d’acqua bollente, di quella che vi ha servito a far bollire la pasta che volete condire, rimescolate il tutto e conditene o le lasagne, o i vermicelli o qualunque altra minestra asciutta, sulla quale spargerete generosamente del formaggio grattugiato.

Vittorio Agnetti, La nuova cucina delle specialità regionali, Società Editoriale Milanese, Milano 1909, p. 17

 

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Mangiare insetti – seconda parte

Continua il racconto dell’insetto in cucina, con le vicende di due amici. La prima, di Francesco, è un dettagliato racconto dell’esperienza diretta.

Il giorno della locusta

Tra i cambogiani, è usanza piuttosto diffusa, quella di stuzzicare l’appetito, sostando prima di cena presso uno dei tanti chioschi che vendono insetti. Trovandomi in loco e precisamente nella cittadina di Battambang, mi lascio tentare.

Barney, il ragazzo che guida il tuk-tuk, e che mi ha scorrazzato in lungo e in largo per tutta la giornata, mi accompagna volentieri. Anche solo per levarsi lo sfizio di vedere la mia faccia perplessa di fronte a un assortimento di pietanze così insolite. Il chiosco in cui mi ha portato mi ricorda inspiegabilmente quello delle caldarroste in corso Buenos Aires, soltanto che al posto di castagne e marroni, esposti in grandi vassoi di stagno, qui ci stanno cavallette, grilli, scarafaggi, ma anche ragni, rane e serpentelli, il tutto precedentemente fritto in padella e poi servito a manciate in sacchetti di cellophane trasparente. La scelta è difficile. I ragni sono grossi come un pugno e per come si presentano, così neri e abbrustoliti, mi incutono un certo timore anche da cotti. Gli scarafaggi, nonostante Barney ci tenga a sottolineare che provengono dalle risaie e che nulla hanno a che fare con le meno nobili blatte cittadine, mi sembrano tutt’altro che invitanti. Alla fine scelgo per esclusione, o per empatia, optando per le creature più simpatiche: un sacchettino di cavallette di campo e uno di grilli. E per non farmi mancare nulla prendo anche un serpentello fritto e alcune rane.


Così, con la mia esotica merenda in mano, mi siedo su una panchina e inizio a stuzzicare…

Lasciando perdere le rane e il serpentello, che non sono in argomento, devo dire che:

1) Le cavallette, soffritte così in padella, senza pastella ma al naturale, non sanno di molto. L’unica cosa veramente interessante è il rumore che fanno quando le mastichi, che mi ricorda un po’ i pop-corn o meglio i Pringles.

2) Decisamente più curiosi sono i grilli, meno invadenti in bocca e con un deciso gusto erbaceo.

3) Nonostante l’alto valore proteico, entrambi questi insetti, ahimè, non sfamano molto (a meno che uno non sia disposto a mangiarne in grandi quantità), per cui l’appetito resta.

4) Infine, attenzione alle zampe, soprattutto quelle delle cavallette! Sono insidiose e si infilano tra i denti. Io ci ho messo due settimane e svariati metri di filo interdentale per liberarmi di una che mi si era incastrata tra i molari superiori.

Meritava quasi di esser conservata come reliquia…

Francesco Cannito

Nel secondo racconto, Pietro invece non è riuscito ad assaggiare gli insetti, e avanza anche qualche dubbio…

Sono andato in Cina dicendo a tutti che se avessi trovato dove si mangiavano gli insetti li avrei mangiati. Arrivato a Pechino li ho trovati subito.  Si trovano in quelle bancarelle serali di Donghuamen Yeshi in una traversa che da sulla via principale Wangfujin (daijie). Ovunque c’erano insetti di vario tipo. Al momento l’odore era nauseabondo e gli insetti poco allettanti. Solo dopo tanto tempo ho capito che l’odore nauseabondo non proveniva dalla frittura degli insetti ma dal tofu “puzzolente” (lo chiamano smelly tofu) che effettivamente ha un odore sgradevole ma non è male. Mi è comunque sorto il sospetto che tutti quei lunghissimi millepiedi cicciotti e neri e gli scorpioni scarafaggiosi fossero lì solo per i turisti. Ho atteso dunque che qualcuno li comperasse. Ma nessuno, tanto meno i cinesi, si sognava di mangiare degli insetti. Passavo per quella via ogni sera.

Per un periodo ho avuto lì anche l’albergo. Solo una volta ho visto due vecchi che hanno acquistato e mangiato lì per lì uno stecco con infilato qualche baco da seta fritto. Un larvone ciccio e croccante. Anche lì però non ho avuto il coraggio di assaggiare. I poveri scorpioni sono invece tenuti infilati nello stecchino vivi e poi fritti al momento. Mi pare comunque che si tratti di roba che si trova (ormai?) solo a beneficio dei turisti. Il fatto stesso che gli stessi stecchi di insetti stessero lì per giorni mi faceva pensare che avrei potuto stare male.

Non so se poi me li avrebbero rifritti al momento, ma non credo. Volevo mangiare le cavallette delle quali non ho mai avuto schifo, ma non le ho trovate.

Insomma, la mia è la testimonianza è quella di chi non ce l’ha fatta. Forse un giorno, quando tornerò…

Pietro Amadini

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“Cibo di strada” chimico – quando l’industria propone qualcosa di “nuovo”

Che dire: tanti anni per dare dignità al cibo di strada, giusto riconoscimento a tradizioni umili che si declina con differenze e caratteristiche comuni in tutto il mondo – ed ecco che la produzione industriale irrompe con la pesantezza che gli appartiene. E non parliamo solo di prodotti massificati e zeppi di conservanti e coloranti, che mortificano le tradizioni artigianali, ma di vere e proprie invenzioni che spesso intrecciano sapore e gusti differenti con chimica e plastica. Alcuni esempi.

Il primo me lo ha girato Fabio Pasi, vecchio amico: “Ciao caro Andrea. Che ne dici di questo? Girando in internet ho trovato un pancake al cioccolato con all’interno una salciccia… Mi sembra un po’ un orrore. Forse per noi che amiamo la cucina buona”.

Si tratta di Pancake & Sausage on a stick, una salsiccia all’interno di un pancake al cioccolato, con uno stecchetto, il tutto surgelato. Sono moderatamente colpito dall’abbinamento dolce-salato, incuriosito in teoria dall’accostamento carne e cioccolato (ho già provato la torta milanese dell’Artusi – carne lessa e cioccolato), ma “sconvolto” dall’alto tasso industriale e chimico del prodotto della Jimmi Dean, azienda statunitense di cibo pronto e surgelato.

http://jimmydean.com/products/Omelets/

Non da meno in Italia. Rispolvero dalla memoria questo Konopizza, ovvero “Il futuro della pizza o la pizza del futuro”, come recita il sito. Qui, a parte (si fa per dire) la qualità degli ingredienti – anche loro surgelati – si incrocia un’idea di “praticità” con la tradizione.

Ma è poi così complicato il classico trancio o la pizza arrotolata? Un’amica mi parlò di questa pizza da passeggio alcuni anni fa, ma non mai visto il konopizza da nessuna parte. Chi l’avesse visto…

http://www.konopizza.com/

Per finire il Sushi Popper, un “tubo portatile con un fresco sushi già tagliato a fette, che esce premendo un bottone e si mangia dall’alto”. Sono disponibili vari gusti e il sito ci avverte che è il prodotto è “green”, visto che si risparmiano milioni di alberi per le bacchette e la plastica è riciclabile. Mi sa che anche questo è un prodotto statunitense, se possibile più idiota degli altri.

http://www.sushipopper.com

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Spaghetti conditi con tonno, daikon, alghe nori e salsa di soia

Ayame l’avevo già intervistata per il libro (Ricette Scorrette – “Pennette al pesce”) e ora, dopo tredici anni in Italia, torna in Giappone. Un po’ preoccupata, “mi sono abituata alla vita italiana”, ma tutto sommato convinta della scelta.

Prima di partire ci vediamo e mi racconta un’altra sua ricetta, ancora una pasta. La manderò in onda a JallaJalla venerdì prossimo (puntata proprio sulla storia della pastasciutta) ma voglio raccontarla qui prima.

Molto semplice. Si lessano gli spaghetti, una volta cotti si unisce una scatoletta di tonno, poi si grattugia il daikon, la rapa giapponese, e si aggiungono alghe nori tagliate fini fini. Infine si amalgama il tutto con la salsa di soia. Dosi non indicate, ma direi una scatoletta per due e il resto a piacere.

Le chiedo, come sempre se l’ha mai fatta assaggiare agli italiani, e lei mi dice di no, che era convinta non piacesse, anche perché si può mangiare anche fredda e lei sa che qui gli spaghetti freddi non piacciono.

Credo che domani farò un salto a comprare daikon e nori perché mi sa che, oltre a provare la pasta, ho proprio voglia di assaggiare questi sapori. La cucina giapponese la pratico poco, in realtà, ma mi incuriosisce assai.

Buon ritorno Ayame.

PS I più arditi possono mangiare questi spaghetti con le bacchette, come si usa in Giappone con la pasta italiana….

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Open sauce – wurstell, ketchup e coca-cola

Il nome open sauce è carino, l’ha trovato Cinzia.

Il piatto invece, raccontato così, sembra un incubo. Eppure dal racconto di Silvio e di sua moglie Carina, che l’hanno provato e poi cucinato, sembra essere una piacevole e sorprendente scoperta culinaria.

L’hanno assaggiato in Ecuador, patria di Carina, dove lo preparano prima del pasto, per chiacchierare e bere un po’ di birra prima di cominciare a mangiare veramente. Si mettono in padella dei piccoli wurstel di maiale, con ketchup e mezzo bicchiere di coca-cola. Qualche minuto e via.

“Mi è piaciuto di brutto, devo dire”. Silvio non è di mezze misure e ammetto che, se non fosse per la fama di ottimo cuoco e buongustaio che lo accompagna, non ci avrei creduto.

Ho mandato l’intervista a JallaJalla oggi, insieme a Paolo Maggioni, e già qualche amico mi ha telefonato per dichiarare la sua disponibilità a provare. Ora tocca veramente cucinarli, e in realtà sono un po’ curioso.

Perché open sauce? Ma perché tutto sommato sono ancora un po’ diffidente, chissà mai che non si possa modificare qualcosa… Anche se Silvio ha bocciato la mia proposta politicamente corretta con spuma e concentrato di pomodoro coop…

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Mangiare insetti – prima parte

Quanto sono buoni gli insetti da mangiare? Ogni tanto sui giornali e sul web rimbalza un articolo su questo tema, sempre giocato sul filo del disgusto e dell’informazione che vuole stupire.

E in effetti in Italia la gamma dei cibi edibili è abbastanza vasta, ma decisamente la nostra cultura non comprende insetti e simili (con qualche eccezione, tipo il formaggio con i vermi, ma ne parliamo un’altra volta). Le occasioni sono rarissime, e mi rimane giusto in mente che da quattro anni il Museo Civico di Scienze Naturali di Bergamo propone, in occasione di «Musei Notti Aperte», un appuntamento con l’entomofagia, credo a luglio. Ogni volta il tg regionale fa lo stesso servizio tra lo stupito e il divertito.

Non di rado gli articoli pubblicati citano invece un seminario tenuto dalla FAO a Chiang Mai in Thailandia nel 2008, dedicato al possibile contributo degli insetti alla dieta umana: “Nonostante l’idea di mangiare insetti possa apparire a qualcuno inusuale, se non addirittura disgustosa, va detto che il loro consumo da parte dell’uomo è in realtà abbastanza comune in molte parti del pianeta. In ben 36 paesi africani vengono consumati almeno 527 specie diverse, lo stesso avviene in 29 paesi asiatici ed in 23 paesi nelle Americhe”. http://www.fao.org/newsroom/it/news/2008/1000791/index.html

Nel testo si ricorda correttamente come: “In alcune zone gli insetti vengono mangiati solo occasionalmente, come ‘cibo d’emergenza’, come unica risorsa in mancanza di altro cibo disponibile. Tuttavia nella maggior parte delle regioni in cui gli insetti vengono consumati essi rappresentano una componente fissa della dieta e spesso sono considerati delle vere prelibatezze”.

In altri siti si scrive invece che “L’allevamento di insetti, che per loro natura hanno molto meno bisogno di risorse alimentari, è un’alternativa valida. Per produrre un chilo di insetti bastano 2 chili di vegetali. Per un chilo di carne, ne occorrono dieci”. Così anche i consumatori responsabili, quelli del chilometro zero e del biologico, sanno che se vogliono contribuire a ridurre l’effetto serra ci sta anche questa alternativa.

http://ilfattoalimentare.it/buon-appetito-con-gli-insetti-la-fao-li-raccomanda-agli-europei-per-ridurre-i-gas-serra-e-combattere.html

Trovo la notizia bizzarra, perché il consumo di insetti è un’attività da “raccoglitori”, faticosa e non sempre redditizia: come scrive anche Marvin Harris nel suo gustoso Buoni da mangiare (Einaudi 2006 – da leggere, anche se forse troppo “razionale” per parlare di cultura alimentare), il consumo di insetti è un ripiego alla mancanza di altre risorse, oppure un’integrazione.

E poi, va bene che “il sapore è sapere”, ma chi come noi italiani non è abituato a questo cibo, come si comporta? Con questo pezzo e altri a seguire, senza fretta, senza una struttura preordinata, vorrei parlare un po’ di cibi e insetti. Comincio dicendo che me ne ero occupato un po’ scrivendo la postfazione del volume di Pietro Veronelli, Vietato vietare: tredici ricette per vari disgusti (Elèuthera 2007), e tra le altre cose avevo trovato un sito che li vende per corrispondenza: lecca-lecca o vodka con scorpioni o bruchi, formiche tostate e ricoperte di cioccolato (http://edible.com/). Da questo sito le due foto a fianco.

Non ho mai mangiato insetti, e per questo sto poi chiedendo racconti diretti ad amiche e amici che hanno avuto questa esperienza (e per chi ne avesse li attendo). Comincio con Gianni Maggiolo, curioso e spericolato onnivoro, autore anche delle due foto:

In effetti le chapulinas [cavallette] in Messico o Guatemala le ho mangiate …niente di ché. Patatine. Croccanti e unte come le patatine. Il problema con gli insetti è lo stesso che con le rane e gli uccellini, troppe cose che si incastrano fra i denti
Più problematica la colazione che mi è stata offerta in un viaggio in Cambogia. Sceso da un autobus di primissima mattina, in piena fase di riacquisizione della normale postura dopo i sedili progettati evidentemente per i locali, mi si è palesata davanti la signora che si vede nelle foto, tronfia nell’offerta di blatte di tutte le dimensioni. Ho rivalutato l’autogrill…

Nella seconda foto la giovin donzella modaiola che acquista…

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