Presentazione 9 novembre 2009

 

Presso la Libreria Popolare di via Tadino, via Tadino  18, Milano, ore 21.00

presentazione di

Ricette scorrette. racconti e piatti di cucina meticcia, Elèuthera, Milano 2009

 

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Pennette zucchine e yogurt

 

A dispetto della
dichiarazione “dietetica”, è una pasta veramente gradevole
e non “fredda” (non le amo molto). Fosca è stata la prima
ascoltatrice di Radio Popolare a proporre una sua ricetta dopo aver
sentito la piccola rubrica all’interno della trasmissione JallaJalla.

L’unica modifica che
mi sono permesso è di usare lo yogurt greco invece di quello
bianco, forse per la fascinazione suggerita da Fosca sulla Grecia.
Oppure perché in effetti nella cucina greca ci sono
pastasciutte condite con lo yogurt (ma sono diverse), o semplicemente
perché mi è rimasto nella testa l’uso che molti
stranieri fanno dello yogurt greco in cucina, spesso in sostituzione
della panna acida, quasi ormai fosse un prodotto italiano a tutti gli
effetti.

La vera risposta credo sia che lo yogurt greco mi piace molto…

Ecco
qui un piatto che unisce l’Italia e la Grecia. Magari non è di
gran elaborazione ma tant’è che è dietetico….e a me
piace molto!

La
ricetta l’ho imparata dalla moglie di uno mio ex datore di lavoro.
Lei non ci mette il pepe, ingrediente che io invece ho aggiunto, come
il basilico. Lo yogurt bianco lo compro a chilometri zero da una
coppia di indiani che lavora in un’azienda lombarda; la pasta deve
essere corta, mi raccomando.

La
cucino anche per gli altri, solo che se invito a cena qualcuno magari
cerco di fare qualche cosa di meno dietetico e più
succulento….

per
due persone

200
g di pasta corta tipo pennette, 2 cucchiai di yogurt bianco, 2
zucchine piccole, parmigiano reggiano, basilico, olio extra vergine
d’oliva

Cuocete
al vapore le zucchine, poi le frullate e le mischiate in una terrina
con lo yogurt, che deve essere intero e non zuccherato, solido il più
possibile. Aggiungete il basilico (ma a volte vario con il
prezzemolo) e l’olio e unite al tutto una spolverata di parmigiano e
pepe.

Fosca

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JallaJalla – Paula e la zakuszka

 

Registrazione della trasmissione di venerdì 9 ottobre all’interno di JallaJalla a Radio Popolare di Milano.

In studio con Paolo Maggioni

9 ottobre 2009.mp3

 

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Chilometro zero padano

 

 

L’altro ieri,
26 ottobre, è stato inaugurato a Barlassina (provincia di
Monza-Brianza) un ipermercato interamente a chilometro zero: il
marchio che caratterizzerà questi prodotti, provenienti
esclusivamente dal territorio lombardo, si chiama "Sapori
padani" (fonte ankronos ripresa da vari siti).

Notizia
interessante: il chilometro zero è da anni un cavallo di
battaglia di una galassia verde, ambientalista e di sinistra, e non
stiamo qua a ricordare temi e significati. Nonostante il possibile
fastidio per un’operazione industriale è comunque
significativo che il concetto si stia allargando anche alla grande
distribuzione. Da un certo punto di vista questo ipermercato si
potrebbe considerare un piccolo successo, anche se restano tutte da
verificare ad esempio le caratteristiche della produzione, il
rispetto verso l’ambiente e la qualità del lavoro, un rapporti
corretto con i produttori.

Però
la presenza all’inaugurazione del ministro Bossi, del ministro Zaia e
del sottosegretario Brancher (poi raggiunti dal ministro Roberto
Calderoli), inserisce variazioni significative a questa iniziativa.
La Lega Nord ci crede!

Afferma
Zaia, ministro delle Politiche agricole alimentari e forestali:
“Certo, lo slogan ‘Mangia sano mangia padano’ non può che
colpire il nostro cuore leghista. Ma la stessa cosa è
riproponibile per altre identità e altri territori della
Penisola. So che la stessa cosa si sta preparando in Liguria".

Insomma
questo cappello leghista sposta decisamente i termini dell’operazione
e aggiunge implicitamente il tema dell’esclusione. Va bene la
filiera corta, sembrano dire, ma quello che conta è la
padanità del prodotto, il chiudere lo sguardo all’esterno, la
riproposizione secca della tradizione (spesso inventata). Hanno
l’aria di ribadire l’appartenenza identitaria del cibo.

Ma
ormai in Lombardia si producono anche alimenti che escono dalla
consuetudine: dagli ormai autoctoni kiwi fino a verdure che
provengono dall’altra parte del globo e costituiscono una risorsa
economica per molti agricoltori lombardi. Vedremo mai un’okra o
un’ampalaya con marchio “sapori padani”?

Perché
l’importante è ricordare che l’identità (questo
sentimento volatile e dinamico), soprattutto in cucina, non si basa
sull’origine bensì sull’adozione e sulla consuetudine. Sennò
ci tocca ricordare che il mais e la patata arrivano dalle Americhe,
il riso dall’Oriente e via dicendo.


 

 

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“Spaghetti Carbonara” filippini

Non lo sapevo, ma oggi è il World Pasta Day, edizione 2009, festeggiata a New York.
Provo grande fastidio alle “giornate”: tutta roba commerciale e questa non meno di altre. Mi intristisce questo tono sciovinista sui maccheroni alla conquista del mondo. Lo stesso tono che si infrangerebbe di fronte alle preparazioni squisitamente autonome del piatto secondo  i gusti locali, che escono insomma dall’orgoglio nazionale a pomodoro e basilico.
Mi sembra l’occasione giusta per raccontare una pasta che esce dai canoni condivisi della tradizione italiana, e ne esce così tanto da lasciarmi stupefatto.
Sono gli spaghetti carbonara, pubblicati in un libretto di cucina filippino. Si sa che questa ricetta è una delle più amate al mondo e che spesso viene realizzata con ingredienti diciamo “adattati” alle abitudini e alle disponibilità locali: wurstel, salame, prosciutto, panna, salsiccia piccante, ricotta, cipolla, peperoncino. Di solito il campionario è veramente vasto ma, tutto sommato, quasi prevedibile: spesso si tratta della  sostituzione di uno o due ingredienti, mentre gli altri più o meno rimangono.
Carlos C. Lorenzana, Celeste G. Lorenzana, The 20-minute cookbook. For Busy Housewives, Overseas Filippino Workers and Singles, Anvil, Manila 2001
Però utilizzare una lattina di zuppa cremosa di funghi (1 can cream of mushroom soup) è così discrezionale da meritare quanto meno attenzione. Mi piacerebbe sapere dove hanno imparato questa carbonara, qual’è la fonte: un libro? Un amico? La televisione?
Visto che a parte gli spaghetti e gli ingredienti base comuni per moltissimi sughi (olio, aglio, pepe) nulla altro ricorda la carbonara, perché l’hanno chiamata così? Direi che questa ricetta esula dalla cucina ma entra di diritto nel campo degli studi antropologici e sociali.
Magari è pure buona, io nonostante la mia disponibilità non ho avuto voglia di provare: se qualcuno la fa e mi fa sapere cosa ne pensa gliene sono grato.
In effetti, io non credo alla ricetta “vera” e “originale”, soprattutto per piatti tradizionali che nel tempo sono variati nelle modalità e che ognuno cucina secondo i propri gusti. Diciamo che ho un approccio laico, relativista, libertario alla cucina. D’altro canto, il versante “ufficiale” assume a volte un tono così rigido e notarile da sfiorare spesso il ridicolo.
L’ Accademia della Cucina Italiana ha curato un volume in collaborazione con il Comando Carabinieri per la tutela della Salute – N.A.S. (!), dedicato ai “falsi culinari”, intesi come piatti tradizionali in cui gli ingredienti e i procedimenti canonici non sono a loro avviso rispettati: di questi oltre il 70%, giungono dalla nostra penisola con grande costernazione degli autori, che non esitano a parlare di tradimento. Ovviamente una delle ricette più tradite è proprio la carbonara.
Di fronte a tale presunzione non so se ridere o indignarmi. Evidentemente un conclave di esperti ha definito la “giusta” ricetta e ne ha stabilito una volta per tutte ingredienti, quantità e modalità. Che per la carbonara prevede tra le altre cose 79 grammi di pecorino romano grattugiato (non 80 oppure 78 grammi) e che il guanciale va tagliato a listarelle alte 8 mm (da Michela Proietti, Strafalcioni alla carbonara, in Il Corriere della Sera, 6 marzo 2009, p. 15). Perciò, o in cucina vi dotate di bilancia da orefice e di calibro, oppure siamo tutti traditori.

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Polenta e fagioli neri

Mentre la preparavo, ero divertito
anche solo per l’aspetto che stava prendendo. In realtà si
tratta di una variazione di un piatto tradizionale friulano, la mesa:
una semplice polenta nella quale invece dell’acqua si usava il brodo
dei fagioli, che venivano aggiunti alla fine. Ho sempre ammirato la
capacità di sfruttare tutte le risorse disponibili e di non
buttare via nulla, avendo comunque cura di conferire un buon sapore
alle pietanze. Una capacità che, per inciso, tutti i popoli
hanno sempre avuto, a qualunque latitudine, soprattutto quando
l’indigenza era una presenza quotidiana.

Il gioco, semplice, è stato di
sostituire i consueti borlotti con fagioli neri, quelli del Nuovo
Mondo. Il risultato è una polenta scura picchiettata dalle
macchie nere dei fagioli; il sapore, per la verità, non si
modifica radicalmente ma, se è vero che in cucina l’occhio
vuole la sua parte, l’aspetto davvero inconsueto costituisce già
un grande dato di merito. E poi ci si prende due soddisfazioni.

La prima è che questa polenta
utilizza tutte le sostanze che i fagioli hanno lasciato nell’acqua di
cottura, perciò mentre ne apprezzi il sapore (l’ho
accompagnata con i favolosi formaggi dell’amico Rolando della Val
Grande e un stufato di maiale, prugne e salsicce affumicate –
sempre quelle rumene!) pensi che stai mangiando un piatto pieno di
ottime vitamine.

La seconda soddisfazione, assolutamente
gratuita, è di corrompere la presunta purezza della polenta
“classica”, quella di chi urla “polenta sì, cous cous
no”, che probabilmente nel loro immaginario è gialla o al
massimo taragna, e morta lì. Invece è già un
piatto meticcio, perché il mais viene dalle Americhe e prima
che fosse imposto ai contadini la polenta era cucinata con i cereali
che più faceva comodo: miglio, farro, etc. I contadini non la
volevano di granoturco, diffidavano di questa nuova farina (non a
torto, visto che mangiando solo polenta sarebbero morti a migliaia
di pellagra). Chissà, magari urlavano “miglio sì,
granoturco no”.

In ogni caso la polenta non era
l’accompagnamento di piatti di carne, ma un piatto “unico” essa
stessa, e chi poteva la cucinava con altri ingredienti oltre alla
farina: formaggi e burro, ma anche erbe profumate, verdure, sughi,
etc.

Insomma, la polenta è tutta da
reinventare.

(Comincio a sviluppare una simpatia per
il brodo dei fagioli, ora lo uso anche per cucinare il risotto.
Niente male!).

500 g di farina
gialla di mais, 150 g di fagioli neri, 1 carota, 1 cipolla, 1 sedano.

Lasciate a mollo i
fagioli per 12 ore circa, poi lessateli al dentein abbondante acqua insieme alle verdure;
senza salare. Mettete il brodo dei fagioli nel paiolo (aggiungendo
acqua se manca) e quando bolle salate e poi aggiungete la farina di
mais a pioggia. Quando la polenta è quasi pronta, aggiungete i
fagioli che avrete precedentemente salato. Versate la poenta sul tagliare che avete bagnato con un po’ d’acqua


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Positivi incontri di cibi e genti. Frasso in ottobre

 

Per chi arriva da Milano constatare che
Frasso Sabino è una realtà completamente diversa
costituisce una sonora banalità.

Frasso Sabino è un paese di 650
abitanti costruito su un colle in provincia di Rieti: un castello in
cima, piccole vie e piazzette, case di pietra. Intorno una campagna
che sembra dimenticata dalla speculazione e anche dall’economia, con
un’agricoltura rivolta al consumo privato e molti olivi che
producono un ottimo olio per il quale non si è trova uno
sbocco commerciale; tanti boschi.

La diversità profonda riguarda
l’approccio all’immigrazione, che costituisce ormai circa il 10 % dei
residenti di Frasso. Sono persone provenienti da varie nazioni, che svolgono le
più diverse attività: manovali, muratori, gestori di
bar. Una presenza discreta, accettata senza problemi, ma che
costituisce comunque un cambiamento sostanziale nelle abitudini
locali.

Racconta Antonio, sindaco di Frasso:

“Le comunità nostre prima
erano fatte tutte da residenti e gradualmente stanno modificandosi. È
un aspetto che non riguarda solo il rapporto tra comunità
italiana e quelle straniere, ma anche quello tra comunità
straniere. Nelle grandi città è diverso, lì
ognuno vive per sé. Ma nei paesi le persone si trovavano in
piazza e nei bar e si conoscevano tutte: ora sono divise in tante parti e noi vogliamo
riunirle. Quindi abbiamo pensato di preoccuparci di ricostruire la
comunità, tenendo presente le esigenze e le novità che
presenta la globalizzazione. Noi l’abbiamo tradotto con questa
manifestazione, perché il cibo è un momento di cultura
e di aggregazione. Abbiamo fornito gli alimenti alle comunità
residenti e li abbiamo invitati a cucinare”.

“Frasso in ottobre” (10-11 ottobre
2009) è una manifestazione giunta alla nona edizione, che pone
il cibo come crocevia degli incontri e degli scambi. È
organizzata dal comune e dalla Pro Loco, insieme a Slow Food di Rieti
e all’Associazione OZU. Ed è stato proprio Enrico Blasi,
fondatore e animatore di OZU, a invitarmi e a propormi di presentare
il libro.

La bellezza di queste due giornate è
stata girare per il paese, assaggiare la fejoada e i dolci
rumeni, chiacchierare piacevolmente con gli abitanti, mangiare la
pizza e il pollo al forno (bravo Cesare!), ma anche gli arancini
siciliani, la pancetta di maiale nero sabino, bere i vini argentini e
la birra prodotta in zona. Le ricette scorrette non sono ancora
contemplate, ma il tema dell’incontro e dello scambio nel piatto si
sta facendo fa strada (comunque sono tornato a casa con una ricetta
eccezionale che racconterò quanto prima).

Sarà banale, non conoscevo
nessuno ma è stato come trovarsi tra vecchi amici. Grazie
Frasso Sabino.

 

 

fejoada

dolci rumeni

pollo "in" forno

 

 

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Cucina meticcia a Radio Popolare

All’interno di jalla! jalla!, magazine pomeridiano di Popolare Network, ogni quindici giorni ci sarà
uno spazio dedicato a una ricetta meticcia: interviste, commenti,
chiacchiere. Si apre sulla musica di Chaiyya Chayyia (da Dil Se – la più bella musica di Bollywood, a mio parere). Ai microfoni Andrea Perin e Paolo Maggioni

Venerdì 9 ottobre si parte con la prima puntata, tra le 14.00 e le 15.00.

http://www.popolarenetwork.it/le-trasmissioni/jallajalla/

Per le frequenze di Popolare Network: http://www.radiopopolare.it/ascoltaci/network/

 

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Pasta con zakuszka transilvana

Questo,
come spesso accade, è un piatto nato per casualità.
“Era fresca fresca, appena fatta – dice Paula – Avevamo fame e
non avevamo niente altro da mangiare e l’abbiamo messa sulla pasta”.
La salsa che Paula e Gianluca hanno messo sulla pasta è la zakuszka, ma in Transilvania, da dove arriva lei, la spalmano sul
pane. L’orgine è armena, mi racconta Paula, ed è
arrivata probabilmente nell’Ottocento insieme a profughi che
scappavano dalle persecuzioni; in breve tempo è stata fatta
propria in tutta la Romania, e ognuno se la produce in casa.

Paula
e Gianluca sono una bella coppia e il loro matrimonio in Transilvania
rimane per me un bel ricordo.

Abbiamo
assaggiato la zakuszka qualche sera fa a casa loro: è buona,
leggermente dolce, sulla pasta completata dal formaggio (come
suggeriscono) dovrebbe funzionare benissimo. La ricetta che mi hanno
dato, come si può vedere, prevede in grandi quantità,
per essere conservata a lungo: quella che abbiamo mangiato aveva due
anni (“compiuti” ha aggiunto divertita Paula), e non si
sentivano…

Ricetta
curiosa per le abitudini italiche: non solo l’olio di girasole, ma
soprattutte le verdure grattugiate (o forse non così inconsueto, ma allora non
conosco le
ricette).

1
litro di olio di girasole, 3 kg di peperoni, 3 kg di melanzane, 1 kg
di cipolle, 2 kg di carote, 1 litro di passata di pomodori oppure 3
kg di pomodori
Grigliate le melanzane intere sulla brace (o in
forno) finché diventano nere esternamente e molli nella parte
interna; a questo punto togliete la buccia. Grattugiate le altre
verdure.

Iniziate
con il soffritto di cipolle e carote, e quando l’olio viene alla
superficie aggiungete i peperoni, poi i pomodori e alla fine le
melanzane. Ci vogliono oltre 6 ore di cottura a fuoco lento: la salsa
è pronta quando appare omogenea e la superficie oleosa.

Conservate in barattoli.

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Pollo affumicato rumeno in insalata


Dal negozio di alimentari rumeno visitato un po’ ti tempo fa (blog 28-07-09) non ero uscito solo con le salsicce affumicate, ma anche delle cosce di pollo affumicate. Come una scimmia curiosa, attratta dai cibi sconosciuti, le avevo subito comprate. L’aspetto non era forse dei più accattivanti, così confezionate, ma insomma perché rinunciare?

Già ma come cucinarle? Non avevo voglia di cercare delle ricette e neppure di mangiarle così, semplicemente sul piatto con un contorno.

Ho pensato di preparare un’insalata e la seconda versione è quella che mi ha convinto di più. Per inciso la carne è tenera e saporita, per nulla stucchevole.

500 gr di patate a vapore, 1 cipollotto fresco affettato sottile, 1 coscia di pollo affumicata disossata e a pezzetti (200 g ca.)

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