Chilometro zero padano

 

 

L’altro ieri,
26 ottobre, è stato inaugurato a Barlassina (provincia di
Monza-Brianza) un ipermercato interamente a chilometro zero: il
marchio che caratterizzerà questi prodotti, provenienti
esclusivamente dal territorio lombardo, si chiama "Sapori
padani" (fonte ankronos ripresa da vari siti).

Notizia
interessante: il chilometro zero è da anni un cavallo di
battaglia di una galassia verde, ambientalista e di sinistra, e non
stiamo qua a ricordare temi e significati. Nonostante il possibile
fastidio per un’operazione industriale è comunque
significativo che il concetto si stia allargando anche alla grande
distribuzione. Da un certo punto di vista questo ipermercato si
potrebbe considerare un piccolo successo, anche se restano tutte da
verificare ad esempio le caratteristiche della produzione, il
rispetto verso l’ambiente e la qualità del lavoro, un rapporti
corretto con i produttori.

Però
la presenza all’inaugurazione del ministro Bossi, del ministro Zaia e
del sottosegretario Brancher (poi raggiunti dal ministro Roberto
Calderoli), inserisce variazioni significative a questa iniziativa.
La Lega Nord ci crede!

Afferma
Zaia, ministro delle Politiche agricole alimentari e forestali:
“Certo, lo slogan ‘Mangia sano mangia padano’ non può che
colpire il nostro cuore leghista. Ma la stessa cosa è
riproponibile per altre identità e altri territori della
Penisola. So che la stessa cosa si sta preparando in Liguria".

Insomma
questo cappello leghista sposta decisamente i termini dell’operazione
e aggiunge implicitamente il tema dell’esclusione. Va bene la
filiera corta, sembrano dire, ma quello che conta è la
padanità del prodotto, il chiudere lo sguardo all’esterno, la
riproposizione secca della tradizione (spesso inventata). Hanno
l’aria di ribadire l’appartenenza identitaria del cibo.

Ma
ormai in Lombardia si producono anche alimenti che escono dalla
consuetudine: dagli ormai autoctoni kiwi fino a verdure che
provengono dall’altra parte del globo e costituiscono una risorsa
economica per molti agricoltori lombardi. Vedremo mai un’okra o
un’ampalaya con marchio “sapori padani”?

Perché
l’importante è ricordare che l’identità (questo
sentimento volatile e dinamico), soprattutto in cucina, non si basa
sull’origine bensì sull’adozione e sulla consuetudine. Sennò
ci tocca ricordare che il mais e la patata arrivano dalle Americhe,
il riso dall’Oriente e via dicendo.


 

 

Informazioni su Andrea Perin

Architetto museografo, cultore della cucina per passione
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