Pizza, pasta e fame nel mondo

Meglio evitare i toni trionfalistici che ho letto in qualche giornale: secondo uno studio sulla dieta alimentare in tutto il mondo svolto da OXFAM, una confederazione internazionale di 14 organizzazioni non governative, risulta che la pasta e la pizza siano tra i piatti preferiti. Ma il taglio dello studio è diverso da qualsiasi trionfalismo italiota e lo scopo non è edonistico-gastronomico, bensì volto a indagare le pieghe della crisi.

In base ai risultati si conferma come la dieta alimentare stia cambiando in peggio in tutto il mondo a causa dell’aumento dei prezz, come ad esempio in Kenya il 76% dove degli intervistati ha modificato le proprie abitudini e il 79% di loro a causa del prezzo del cibo; lo stesso anche nel Regno Unito, dove è il 46% ad aver cambiato le consuetudini a tavola (41% per i prezzi crescenti). In generale per la maggioranza degli intervistati (66%) il costo è di gran lunga la preoccupazione maggiore associata al cibo, mentre per il 43% la salubrità e il valore nutrizionale degli alimenti sono fattori chiave.

Le nazioni coinvolte nello studio sono Australia, Brasile, Germania, Ghana, Guatemala, India, Kenya, Messico, Olanda, Pakistan, Filippine, Russia, Sud Africa, Spagna, Tanzania, UK e USA; anche se il campione per la verità è assai ristretto (16.000 persone in 17 paesi).

Insomma, in molti di questi paesi pasta e pizza vengono apprezzati proprio perché economici, spesso a discapito di cibi tradizionali, ma non dove la fame è un problema pesante. Capita ad esempio che in Olanda la pasta sia il piatto preferito (prima con il 10,00%, terza la pizza al 5,80%; ottava la lasagna 2’60%, undicesimi gli spaghetti 2,00% e dodicesimi i maccheroni 1,90%), come anche in Sudafrica (16,7% e pizza seconda con 12,30%) e in Germania (12,10%, seconda pizza 6,20% e settimi gli spaghetti 3,10%). È il secondo piatto in Spagna (10,60%), Australia (7,20%) e GB (6,80%). Terza in Brasile (12,90%, curiosamente prima la lasagna con il 20,40%).

Rimane però totalmente sconosciuta nei restanti paesi africani e in quelli dell’Asia meridionale, con l’eccezione dell’India (ottavo piatto con 4,80%), dove evidentemente è ancora troppo costosa, o almeno non in grado di scardinare i cibi base (spesso riso, legumi, etc.).

Non stupisce comunque che la pasta e la pizza siano in generale così consumate, sono pietanze economiche e duttili, possono adattarsi a qualsiasi tipo di condimento. In grado insomma di inserirsi nell’alimentazione quotidiana e meticciarsi con le consuetudini gastronomiche. E l’Italia, tanto gelosa dei suoi piatti, dovrà adattarsi ai nuovi sughi che in ogni mondo verranno inventati….

http://www.oxfam.org/en/grow/pasta-pizza-or-paella-global-food-survey-reveals-worlds-favorite-foods

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Tortellini e coucous

La notizia che ho riportato settimana scorsa dei “tortellini halal” ha riaperto una questione sospesa che mi intrigava da tanti anni, precisamente da quando nel 2004 lessi il bellissimo Eccessi di culture di Marco Aime. Stavo scrivendo La fame aguzza l’ingegno e queste parole mi depositarono un’idea che fu poi uno delle riflessioni da cui partii per scrivere Ricette scorrette:

(…) vorrei riportare un aneddoto narratomi da don Piero Gallo, parroco di San Salvario, quartiere di Torino segnato da una forte presenza di immigrati. In una scuola materna del quartiere, frequentata da molti bambini maghrebini, le maestre hanno deciso un giorno di preparare il coucous. Hanno cercato la ricetta «originale» per cucinarlo secondo la tradizione. I bambini erano contenti. Poi una maestra ha chiesto a un piccolo marocchino:

«Ti piace?»

«Sì»

«È come quello che fa la tua mamma?»

«Quello della mia mamma è più buono perché mette uno strato di coucous e uno di tortellini, uno di coucous…»

da Marco Aime, Eccessi di culture, Einaudi, Torino 2004, pp. 135-36

Storia bellissima, che Aime stesso ha citato puntualmente in altri libri. Storia che poi almeno un paio di persone mi hanno raccontato perché riportate da loro amici (“senti cosa gli è capitato”): ora i casi sono due, o gli amici contavano balle oppure la storia è un po’ come “mio cuggino”, una leggenda metropolitana.

Nel dubbio, mi sono deciso a cucinarla, affrontando i vari piccoli problemi. Tortellini quali? Non di carne ovviamente (non halal essendo fatti con il maiale) meglio quelli di magro. Conditi con che? Ho preparato un sugo da couscous con le verdure e il pomodoro. E per comodità cous cous precotto (anche i tortellini per la verità…).

Risultato? Quando gli amici hanno sentito cosa li aspettava a tavola, la reazione è stata insieme divertita e poco convinta, dopo gentile ma decisamente poco entusiasta. Un paio hanno chiesto il bis, anche se praticamente tutti hanno diligentemente svuotato il piatto.

Risultato finale? Bella la storia comunque, anche se mi rimangono i dubbi che sia troppo bella per essere vera (in tanti anni di chiacchiere con persone non ho mai sentito di un piatto così “programmaticamente” meticcio). E per fortuna che l’ho cucinato tanti anni dopo, magari mi sarebbe passata l’ispirazione…

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Tortellini halal e “medium food”

L’industria ha ormai annusato che la presenza degli immigrati in Italia è un’occasione da sfruttare al meglio per ampliare il mercato. Dopo i prodotti pensati per gli italiani (come il “kebab” in busta) ecco quelli pensati per i mussulmani: piatti tipici italiani però realizzati “halal”, cioè secondo le regole alimentari islamiche. Sul sito non si trova la documentazione, ma sicuramente non ci sarà la carne di maiale e gli animali saranno stati uccisi rispettando quanto richiesto dal Corano.

Bismillah e buon appetito.

Integrazione è anche mangiare bene e stare in pace con Dio…

È il trionfo dell’integrazione, la grande cucina italiana coniugata alla regola islamica senza tradire il gusto della prima e il rigore spirituale della seconda.

I materiali e i processi di lavorazione che rendono lecita l’alimentazione per i musulmani nelle mani sapienti di straordinari cuochi del terzo millennio per conciliare sapore italiano e islam.

Siamo riusciti a proporre i principi della nostra gastronomia, i piatti di pasta, preparata con i criteri della tradizione musulmana, ad un vasto pubblico, di musulmani e non musulmani, certi che l’attenzione al fatto spirituale non possa non coniugarsi con la qualità degli ingredienti, dei condimenti e lo scrupoloso rispetto dei più avanzati processi di lavorazione.

Trealfieri Halal si pone di fronte al mercato dell’alimentazione pret a manger, con una linea che nella varietà delle ricette dei primi piatti e dei sughi pronti, supera lo stesso concetto del fast food ripetitivo e infine stucchevole, e che siamo certi, riuscirà a soddisfare una domanda diversa e anche esigente a costi contenuti e di sicuro interesse per la grande distribuzione, la ristorazione rapida e le mense aziendali scolastiche.

Iniziative del genere sono apparse da tempo in Europa, e questa italiana arriva in ritardo, ma sono rimasto colpito soprattutto dalle affermazioni di “filosofia” dichiarate sul loro sito:

Un’alternativa reale rispetto il fastfood, fin troppo fast e food (nel senso che comunque nutre), a prescindere dalla qualità e della soddisfazione del palato, e lo slowfood elitario, difficilmente conciliabile con i ritmi della vita di oggi …e i suoi costi. La nostra proposta gioca magnificamente nello spazio pur ristretto, tra queste inconciliabili alternative innovando nel segmento di mercato oggi riconosciuto come medium-food.

http://www.trealfierihalal.com/home.html

Non so quanta strada farà questo nuovo termine, ma a suo modo lo trovo geniale nella sua ricerca di compromesso e di critica dei due “eccessi”: chissà come si dice in arabo in medio stat virtus.

 

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Libri: “Paesi in tavola”

Si tratta di un piccolo libretto pubblicato a margine del concorso del 2010 Disegni al sole, che dal 2007 viene indetto dal Comune di Celle Ligure in collaborazione con il Consorzio Promotur, la casa editrice Edizioni dell’Arco e la Fondazione benefica Francesco Spotorno onlus. Il tema di questo anno è il cibo e il suo legame tra gusti, ricette e culture del mondo.

I disegni pubblicati su queste pagine presentano chi più chi meno freschezza, intelligenza, buon gusto e inventiva: su di loro personalmente posso solo esporre il mio gusto personale, mi piace o non mi piace, non ho una competenza specifica per entrare nel merito.

La casa editrice ha deciso però di allegare anche alcune ricette di cucina, proposito forse lineare con il tema del concorso ma rischiando però di fare un po’ di confusione. Sono piatti mediamente da tutto il mondo, la maggior parte conosciuti, pubblicati e ripubblicati un po’ ovunque, senza alcun collegamento specifico con i disegni. I testi sono a cura di italiani (chi? Perché loro e non persone della stessa cultura?), le pietanze sono suddivise per “antipasti, primi e zuppe, piatti unici, secondi, dessert”: una distinzione tutta italiana, spesso estranea ai piatti pubblicati.

Insomma, alla fine mi pare un’operazione un po’ pasticciata.

Se vuole essere un libro di ricette tisulta banale, senza alcuna specificità, non dissimile da altre operazioni analoghe che però hanno spesso il pregio di essere raccontati “in origine”, con i piatti qualche volta adattati agli ingredienti e ai gusti italiani. Mentre i disegni, che avrebbero dovuto essere i protagonisti, rimangono a margine, con una funzione che diventa decorativa.

Valentina Biletta, Paesi in tavola. Gusti, ricette e culture del mondo, Edizioni dell’Arco, Milano 2010

Primo premio, Daniela Piga – Festa in cucina

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Kebab italiano di produzione industriale

La destra sta pestando duro in questa campagna elettorale, soprattutto a Milano. Uno degli argomenti preferiti è la paura verso l’immigrato, lo spauracchio di una “città islamica” nel caso di vittoria della sinistra.

Pare che i milanesi siano per fortuna meno sensibili a queste sciocchezze: la destra non si rende conto che ormai, per molti versi, l’immigrazione e l’arrivo di nuove culture sono un fatto assodato, la paura ha spesso fatto spazio alla conoscenza e alla condivisione.

Non che sia tutto tranquillo, ma anche l’industria alimentare sembra averlo capito. Da qualche giorno la Fratelli Beretta ha messo in distribuzione un prodotto nuovo, il kebab di vitello e tacchino. Proprio il kebab, osteggiato dalla Lega come alimento nemico, espulso da alcuni centri abitati (Lucca ad esempio), demonizzato e invece entrato nelle abitudini culinarie abituali praticamente di tutta Europa.

“Da sempre attento alle nuove tendenze, Il Salumificio Fratelli Beretta lancia un nuovo modo di gustare il Kebab per i consumatori italiani che apprezzano questa ricetta mediorientale diventata, ormai anche in Italia, protagonista indiscussa dello street food”

Non ho nulla da dire sulla qualità, non ho neanche tanta voglia di provarlo e mi sa che che con il prodotto a cui si ispira c’entri poco (“connubio di fesa di tacchino e vitello, cotto al forno con le erbe e gli aromi inconfondibili del Kebab, il nuovo prodotto è un gustosissimo e piacevole arrosto dal sapore tipicamente orientale”), ma è decisamente curioso e sintomatico l’interesse dell’industria, interessata unicamente al profitto e meno alle sparate partitiche. Anche perché non è l’unico prodotto da cucina straniera che entra in produzione…

http://www.berettafood.com/it/novita.asp?id_canale=10&id_news=78&page=1

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Sushi italiano a Lisbona

C’è poco da dire. Questo è il menù di un bar all’aereoporto di Lisbona.

Altro che “non luogo” di Augè, qui siamo al “non sushi”: interpretazione portoghese di un piatto giapponese con ingredienti (supposti) italiani.

Mi spiace anche ammettere che questo breve testo manca di una parte fondamentale: non l’ho mangiato…

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JallaJalla – storia della salsa di pomodoro

Registrazione della puntata del 25 febbraio 2011, in studio con Paolo Maggioni (JallaJalla – Radio Popolare), dedicata alla storia della salsa di pomodoro.

25 febbraio 2011 – storia della salsa di pomodoro

in chiusura intervista a Silvio, che racconta di una salsa con ketchup e coca-cola da mangiare con i wurstel (pubblicata un paio di mesi fa).


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Mangiare insetti – terza parte: il “casu marzu” ovvero il formaggio con i vermi

Proseguo con i racconti scritti da amici sugli insetti come cibo. Per una volta niente paesi lontani ed esotici, ma tradizioni nostrane!

Oggi è la volta di Francesco Scanu, che già aveva mandato una sua ricetta e che racconta qui il suo personale rapporto con il casu marzu, il formaggio con i vermi, uno dei pochi esempi (altri?) di insetti consumati in Italia.

Attualmente credo che le norme tecniche emanate dall’Unione Europea non ne consentano più la produzione e che sia proibita la sua commercializzazione, essendo ovviamente in contrasto con le norme igieniche e sanitarie stabilite in sede comunitaria. Ma credo che siano disattese…

Casu Marzu

Quand’ero piccolo io avevo cinque anni.

E a cinque anni i sapori troppo forti proprio non ti vanno giù, anzi, tendi a fuggirli come la peste. Così quando il babbo mangiava quel puzzolentissimo casu marzu io mi tappavo il naso e facevo un sacco di sceneggiate tipo faccia disgustata seguita da principi di conati di vomito. Ma da piccolo la durata delle decisioni solenni di solito oscilla tra i tre e i sette minuti netti. Cinque minuti dopo infatti (in perfetta media), arrivava sempre il momento in cui la curiosità e l’attrazione verso l’ignoto prendevano il sopravvento su tutto il resto, e la mia faccia disgustata lasciava spazio a quella sbalordita e incredula: in mezzo al formaggio cremoso che babbo si spalmava sul pane carasau, dei veri e propri vermi, bianchi come il formaggio ma molto più vivi e vegeti del formaggio, si raggomitolavano su se stessi per poi spiccare il volo facendo dei salti mortali alla Juri Chechi!

Questi vermetti compivano dei salti veramente giganti se proporzionati alle loro modestissime dimensioni. E saltavano dappertutto, facendo un vero e proprio casino della malora su tutto il tavolo e nell’intera cucina. Per giunta nel tragitto che la fetta di pane condita compiva dalle mani alla bocca del babbo, molti di questi kamikaze si catapultavano fuori da quel tappeto volante per tentare di salvarsi e non finire tra le fauci golose di mio babbo prima e nel suo apparato digerente dopo. E qui iniziavano le mie crisi interiori: che fare di quei vermi? Avevo la possibilità, legale, di mangiare dei vermi vivi, proprio lì a tavola, di fronte ai miei genitori. Voglio dire: se per caso un giorno con gli amici in campagna, magari per provare il mio coraggio di fronte a tutti loro, avessi provato a mangiare un verme e i miei lo fossero venuti a sapere, sicuramente mi sarei preso una bella sberla e una ramanzina di tutto rispetto; ma qui no! Adesso, a tavola, con mamma e papà accanto, io potevo tranquillamente cibarmi di vermi tra l’indifferenza generale e al più l’approvazione della gente!

Secondo voi cos’ho fatto?! Sì, fanculo al disgusto e allo schifo, la tentazione era troppa!

Il problema fu che quando assaggiai un’idea di formaggio con qualche verme dentro spalmata sul pane, i conati mi vennero davvero. Insomma, trovava conferma la teoria che i gusti troppo forti ai bambini piccoli proprio non piacciono. Così non ebbi altra scelta: i vermi li volevo mangiare, era troppo eccitante e trasgressivo per non farlo e perdere un’occasione d’oro come questa. Così decisi in un istante: avrei mangiato soltanto i vermi. E così feci. Aspettavo che loro saltassero fuori da dentro la forma scoperchiata del pecorino marcio o dalla fetta di carasau e li acchiappavo con le mie due ditina che usavo a mò di bacchette cinesi e me li portavo alla bocca. E li veniva il bello: mica li masticavo subito e li inghiottivo come un qualsiasi altro boccone, no, li poggiavo ad uno ad uno vivi sul centro della lingua, poi di corsa chiudevo la bocca e aspettavo. E il verme di turno non mi deludeva: spiccava il suo salto e mi sbatteva sulla parte alta del palato. Era fichissimo. Accrebbi velocemente la mia abilità di mangiatore di vermi di casu marzu, e iniziai a metterne sulla lingua prima due, poi tre, e infine anche quattro o cinque per volta, che saltando mi solleticavano il palato prima di finire in mezzo ai miei succhi gastrici.

Passarono diversi anni prima che la mia specializzazione di mangiatore di vermi si trasformasse in golosità per il casu marzu “completo” (inteso cioè di formaggio e vermi, non più solo di vermi), e passarono diversi anni prima che ripensassi ai vermi slegati dal formaggio. Successe una sera di qualche anno fa a casa di Alessio. Mentre durante la cena alternavamo lumache al sugo e interiora di agnello, eravamo continuamente infastiditi da un nugolo immenso di micro-moscerini che ci ronzavano intorno.

Alla fine glielo chiesi, e lui confidò. Aveva lasciato una forma di pecorino vecchia e punta su una credenza della cucina, e la natura aveva fatto tutto il resto. I vermi del pecorino marcio (che noi ci mangiamo con gusto e che consideriamo una specialità raffinata da offrire solo agli ospiti più importanti e non a tutti), altro non sono che le larve di una mosca che “punge” appunto le forme di formaggio depositandoci milioni di uova dentro, che crescono nutrendosi dello stesso formaggio e rendendolo così cremoso e che, se non mangiate per tempo, spiccano il volo diventando fastidiosissimi moscerini…

Insomma, il casu marzu coi vermi dentro è davvero una prelibatezza, e posso assicurare che anche se la comunità europea riproverà a proibirlo e renderlo fuorilegge, noi Sardi continueremo a mangiarlo, come facciamo ormai da millenni; ma a voi profani vi do un consiglio, anzi due: mangiatelo quando i vermi sono ancora bianchi e vivi, e se andate a cena da Alessio, controllate la data di scadenza degli alimenti in frigo prima di sedervi a mangiare!

Francesco Scanu

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Brasato al barolo per palati islamici

La mia amica Cristina Sebastiani è sposata a Babacar, senegalese, e quotidianamente affronta quel momento di vero sincretismo sociale che è la cucina condivisa. Qualche giorno fa ha pubblicato sul suo blog DIAXASSO (http://cribaba.blogspot.com/) una ricetta che pubblico qui sotto.

Anche la foto arriva da lei (http://www.flickr.com/photos/nenenabou/)

Caro Andrea, da qualche tempo ero costretta a cucinare escludendo mio marito, musulmano osservante, non solo da tutto ciò che prevede il maiale, che anche io uso poco, ma anche dai piatti cucinati con il vino o con la pancetta. Un vero peccato!

Poi ho scoperto il vino senz’alcol e il tacchino arrosto, una svolta: per Pasqua faccio il Brasato al Barolo, ti mando la ricetta.

Cri

Ecco il mio brasato al Barolo, per 6 persone

1,5 kg di cappello del prete, 1 bottiglia di barolo senz’alcol, 6 cucchiai di soffritto con cubetti di tacchino al forno, 1 cucchiaio di zucchero, 1 spicchio d’aglio, 1 mazzetto di erbe aromatiche (rosmarino, salvia, timo, alloro, prezzemolo)

La carne soffrigge nel burro per 15 minuti, poi aggiungo il soffritto preparato a parte (sedano, carota, cipolla e cubetti piccoli di tacchino al forno fatti andare adagio nel burro senza dorare), l’aglio, le erbe e il vino precedentemente fatto bollire per 5 minuti, per fare evaporare l’alcol e togliere la maggior parte dell’acidità. Lo faccio andare adagio e coperto per 4 ore. Alla fine, per fare la salsa, si passa il fondo, senza le erbe, e poi si rimette sul fuoco aggiungendo 30g di roux per 5 minuti. Salare, pepare, aggiungere prezzemolo fresco, tagliere a fette quando è tiepido, versare la salsa e servire.

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Ricette Scorrette a Lodi, Casa del Popolo, 30 aprile 2011

Sabato 30 aprile, alle 20.00 presso la casa del Popolo di Lodi, vecchi amici, verrà presentato il libro Ricette Scorrette.

Ci sarà una cena con le ricette dal libro, al costo di 15 €, e poi la chiacchierata.

Beh, lo ammetto, è una soddisfazione che due anni dopo l’uscita ci sia ancora curiosità per il libro…

CASA DEL POPOLO, via Selvagreca, Lodi

http://www.autistici.org/cdp/

 

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