MasterChef: che palle!

Spero di non essere tra i pochi, ma io MasterChef, famosissima trasmissione televisiva, proprio non lo sopporto.

A essere sincero guardo pochissimo i programmi di cucina in televisione, giusto per capire cosa sono ma nulla di più. A MasterChef ho dedicato minuti in più per pura curiosità, per conoscere questo fenomeno mediatico. Ero rimasto colpito anche dall’incongrua immagine del manifesto che pubblicizzava la trasmissione: fiamme dell’inferno e cipigli severi.

Senza girare intorno al problema, è che io non sopporto proprio il target di questi programmi dove tutto gira intorno a personaggi costruiti con didascalica tipologia (quasi maschere della commedia dell’arte) e alla regia di una competizione esasperata, fatta di vincitori e vinti. Da quello che ho visto gli ingredienti erano la durezza programmatica dei giudici (quasi ridicoli con la loro durezza integerrima), l’ansia di tutti i personaggi, le storie lagnose da cartolina, le lacrime disperate dei perdenti, l’adrenalina di cartapesta. Molto di più importanti della cucina.

Non mi piace la retorica sulla cucina come gioia e arte, ma neanche questa competizione senza piacere, questo esame continuo, questa mancanza di ironia. Mi sembra un gran calderone dove ogni argomento è buono (cucina, moda,) per creare falsi personaggi “veri” e metterli uno contro l’altro, un format dove la vita è competizione riprodotto in tutto il mondo apparentemente, diverso e sempre uguale a se stesso.

Mi piacerebbe poter dire qualcosa sulle ricette ma ho seguito troppo poco, e comunque sembrava sempre che i giudici fossero i depositari dell’unico modo di cucinare: irritante. E mai mi è venuta voglia di mangiare quello che cucinavano…

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Soia del nonno

Mentre frugavo negli scaffali di un grande magazzino alla ricerca di granaglie varie, mi è caduto l’occhio su questo prodotto. Al di là della qualità del prodotto, che non conosco e peraltro non mi interessa, mi ha colpito perché si tratta di uno spezzatino di soia presentato come “cucina mediterranea”. Non si tratta purtroppo di un ardito esempio di contaminazione culturale, bensì di una piccola astuzia che suggerisce come questo prodotto sia all’interno della tradizione mediterranea: nessun dubbio che la soia (ingrediente orientale) ormai da anni sia entrata nell’uso quotidiano di molte persone che verosimilmente la cucinano “all’italiana”, ma altrettanto sicurezza si può sostenere che la soia non appartiene a questa storia.

E allora perché scriverlo, con il contorno di immagine naif di memoria contadina (falsa)?

Perché “cucina mediterranea” con sottinteso di tradizione antica è una di quelle combinazioni magiche fanno vendere di più certi prodotti, insieme ovviamente alla parola “biologico”, che non manca nel pacchetto anche se, viste le ultime dalla cronaca, quando industriale è tutto da verificare.

 

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Salsa di pesce fermentato (Bagoong)

Credo che tutti i lettori di Salgari abbiano presente quando Sandokan rifiuta il blanciang che gli offre il fido Giro-Batol, piatto che ci schifava da bambini al solo pensiero e che in età adulta ho scoperto essere una salsa di pesce malese. La sua ricerca mi ha portato nei negozi di alimentari alla ricerca di qualcosa di simile e alla fine ne ho comprata una a caso, ovviamente filippina visto la folta comunità a Milano, senza per la verità sapere bene cosa acquistavo.

Si tratta del il Bagoong, una delle tante salse di pesce caratteristiche dei paesi del sud-est asiatico: pesce fermentato al sole per mesi, mischiato ad altri ingredienti, di solito spezie. Questa è una variante fatta con gamberetti piccolissimi e poi aceto, zucchero, aglio, cipolla e olio di mais (e monosodium glutamate). Colore rosso cupo, profumo intenso ma non fastidioso (pensando al pesce fermentato, cioè marcio): probabilmente è meno buono in questa modalità industriale in barattolo rispetto alla produzione artigianale o casalinga (come la maionese per intenderci), ma il suo sapore non si avvicina a nulla a cui siamo abituati.

Niente a che fare con la pasta di acciughe per intenderci (alcuni sostengono che mischiata alla salsa di soia ne imiti il gusto, ma non è vero), mi piace pensare che assomigli al garum, la mitica salsa latina di pesce fermentato, anche se in realtà la letteratura sostiene che è il nuoc mam vietnamita a essere più simile: ma insomma già ci si avvicina.

Come Sandokan mi sono rifiutato di mangiarlo semplicemente così, come fa Giro-Batol, (ma nessuno credo faccia), e ho provato a inserirlo in qualche piatto. Nella cucina del sud-est asiatico è un ingrediente fondamentale, pari al nostro olio di oliva leggo, e si aggiunge a tutti i tipi di pietanze. Indeciso a come usarlo, visto che basta mezzo cucchiaino per incidere nel sapore di qualunque piatto, alla fine il risultato che più mi ha convinto è nella pasta con i broccoli al posto dell’acciuga nel soffritto: il piatto assume una più marcata connotazione di “mare”, un sentore di pesce molto più forte, alla fine niente male.

Non ho ancora osato inserirlo in piatti di carne, come credo sia invece frequente nella cucina anche filippina, ma soprattutto mai farlo odorare al vostro commensale prima di utilizzarlo: non è detto che ne sia entusiasta!

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Lampredotto e pesto alla genovese

Piccola storia non a lieto fine perché, mannaggia, il lampredotto a Firenze, a margine del Convegno, non sono riuscito a mangiarlo. Peccato, perché chiacchierando con un ragazzo che lavora nella struttura che ha ospitato il convegno, un fiorentino di origine siciliana e frequentazioni venete ma di convinto sciovinismo culinario fiorentino, ho cercato di capire dove potevo trovare la rivendita più vicina del lampredotto. Per chi non lo sapesse, il lampredotto è un piatto povero della cucina fiorentina, tutt’oggi molto diffuso in città grazie alla presenza di numerosi chioschi: una trippa lessata accompagnata solitamente dalla salsa verde, piatto quanto mai identitario specie in queste contrade convinte di avere la miglior cucina al mondo.

Ed ecco la mia sorpresa quando mi suggerisce di provarlo con il “pesto genovese”, che ormai i lampredottai hanno introdotto come salsa di accompagnamento: “meglio della salsa verde!”.

Combinazione inaspettata e felice sorpresa che un accostamento così meticcio, seppur nell’ambito della penisola, abbia preso piede in un contesto così orgoglioso delle proprie tradizioni. E non deve essere neanche male…

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Convegno DESIGN CON I SUD DEL MONDO

Università Internazionale dell’Arte – Villa il Ventaglio, Via delle Forbici, 24/26 Firenze

martedì, 29 novembre, ore 11.00

Andrea Perin interviene sul tema “Cucina meticcia”

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La campagna UNICEF “io come tu” e gli spaghetti al pomodoro

Qualche giorno fa il Comitato italiano per l’UNICEF ha promosso la campagna “Io come tu”, volta a proporre la riduzione delle ineguaglianze e il raggiungimento dei più vulnerabili ed esclusi, nello specifico bambini e degli adolescenti di origine straniera:

“La non discriminazione e l’inclusione sociale dei bambini e degli adolescenti di origine straniera richiedono l’adozione di misure legislative adeguate, quali una riforma della legge sull’acquisizione della cittadinanza (legge 91 del 2002) redatta secondo i principi di non discriminazione e superiore interesse del bambino alla base della Convenzione sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, ma anche una attitudine sociale positiva nei confronti della popolazione straniera che risiede nel territorio italiano per scongiurare il rischio che a fronte di una parità sul piano legislativo si produca una discriminazione de facto dal punto di vista sociale. Per questo ‘Io come tu’ è una Campagna a favore dell’uguaglianza di tutti i bambini e gli adolescenti che vivono, studiano e crescono in Italia”.

www.unicef.it/iocometu

In una società come la nostra le leggi hanno di sicuro un loro peso, ma sono convinto che ancora più importante è la formazione culturale degli individui. Sono rimasto perciò un po’ sorpreso notando che, tra le immagini inevitabilmente accattivanti e buoniste della campagna, una rappresenta un gruppo di bambini che mangia, o meglio dire è “simpaticamente” impiastricciato di spaghetti al pomodoro.

Se è comprensibile che si possa ritenere utile utilizzare concetti e simboli semplici per trasmettere un messaggio, forse in questo caso è scappata la mano. È indubbio che gli spaghetti al pomodoro siano uno dei pochi e più condivisi elementi (e alimenti) identitari italiani – ancorché diffusi in molte cucine. Accostarli a bambini a cui si vuole riconoscere parità di diritti sembra suggerire che questo è possibile solo quando diventano italiani anche culturalmente.

Probabilmente non era l’intenzione, ma sembra un discorso a favore della integrazione, cioè dell’annullamento delle peculiarità culturali dei migranti che si devono omologare a quelle del paese ospite. Mentre continuo a pensare che sia invece il meticciato, cioè l’incontro e lo scambio senza pregiudizi, quello che può creare una società nuova e migliore.

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“Ricette Scorrette” a Cocktailmania, su Lombardia Channel

Cocktailmania, programma di Lombardia Channel, nella puntata di mercoledì 23 novembre 2011 condotta da Laura Costa avrà come tema le etnie di Milano. Tra gli ospiti Andrea Perin che parlerà di Ricette scorrette.

In diretta dalle 20.45 alle 23.00 sul canale 615 del digitale terrestre.

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“Chana dal” ovvero piselli gialli (secchi) spezzati

La seccatura è sempre stata uno dei sistemi di conservazione più utilizzati nel mondo pre-industriale e i piselli, prodotti fragile, non sono sfuggiti a questa pratica. Ora però, sarà una mia impressione, ma i piselli secchi sono in gran parte scomparsi dall’uso comune (a differenza di fagioli e ceci, giusto per rimanere nei legumi). Forse è stato grazie alla scoperta della conservazione in scatola, che risale a Nicolas Appert (per l’esercito di Napoleone), e al fatto che i piselli furono tra i primi a essere inscatolati in Italia (da Francesco Cirio nel 1856). O più semplicemente perché i piselli ricordano la primavera, sono dolci quando sono freschi e meno quando sono secchi, ed è molti preferiscono consumarli congelati o in scatola che più si avvicinano all’originale.

Spesso però i prodotti conservati acquistano un proprio sapore che li differenza da quello fresco e acquistano una loro autonomia. Capita anche per noi in Italia: nessuno considera e usa alla stessa maniera ad esempio pomodori freschi o secchi, o ancora le prugne e i fichi. E quanti hanno mai mangiato i ceci freschi?

I Chana dal, piselli gialli spezzati, sono tra i legumi più apprezzati del subcontinente indiano, dove evidentemente i legumi secchi hanno ancora una grande importanza, e servono soprattutto per preparare il dhal (o dal), una sorta di purè speziato che si accompagna con altre verdure e con riso.

È ormai facile trovarli anche in Italia, importati da TRS, azienda anglosassone che da cinquant’anni commercializza prodotti indiani (così a giudicare dal suo sito) e che rifornisce gran parte dei negozi cosiddetti “etnici”. http://www.trs.co.uk

Non saprei fare un confronto con i piselli verdi spezzati nostrani, l’ultima volta che li ho consumati risale a parecchi anni fa (appunto), ma questi sono entrati come ingrediente fisso nella mia cucina. Costano veramente poco (se non ricordo male 1,50 € per 500 g) e funzionano ottimamente ad esempio per le zuppe (con soffritto, crosta di grana e qualche pomodoro secco) oppure preparati come le lenticchie (con un goccio di vino rosso quasi alla fine). Non necessitano di essere messi a bagno prima, l’unica accortezza è di partire con poca acqua e di aggiungerne dopo man mano se serve.

Per la verità i Chana dal sono solo un esempio di una grande varietà di legumi usati in Oriente, c’è solo da incuriosirsi e scoprirli. I prossimi, per me, sono i fagioli mungo

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Libri: “Ricette delle nuove famiglie d’Italia”

Il libro è uscito ormai da un anno e io l’ho acquistato qualche mese fa, ma solo adesso trovo il tempo di scrivere qualche riga. Si tratta del risultato di un concorso bandito nel dicembre 2009 (di cui si parlò anche in questo blog) dove si chiedeva non solo una ricetta, ma “anche di raccontare di sé, del proprio nucleo famigliare e del proprio rapporto con la cucina, aggiungendo anche un aneddoto divertente legato al piatto presentato o a ricordi culinari”.

Il volume comprende ventiquattro piatti e relative “storie”, le ricette sono eseguite dagli studenti dell’Istituto Alberghiero di Casalecchio di Reno e ogni capitolo è corredato dalla foto della famiglia.

In quanto concorso, non si può definire uno specchio della nostra società, di come mangiano le famiglie italiane, e credo non fosse neanche questa l’ambizione. Si tratta di un esempio “scelto” di quell’Italia per cui il cibo non è più solo sfamarsi, anche con piacere, di quelle persone che ritengono che la cucina stessa sia un valore in grado di rappresentare se stessa.

L’immagine patinata del libro, le foto “tecniche” dei piatti come nelle riviste di settore, quelle delle famiglie in posa e il taglio positivo e “amoroso” dell’operazione (il tutto un po’ appiccicoso a tratti), non coprono comunque l’interesse che presenta questo volume. L’aspetto più significativo, sul quale insiste giustamente la curatrice, è proprio la composizione della famiglia e di come si stia modificando nella “consapevolezza delle radicali trasformazioni attraversate negli ultimi anni”: accanto al nucleo tradizionale appaiono varie modalità di aggregazione che superano i concetti consueti di genere, nazionalità, relazione.

E le ricette? Sono come ci si può aspettare, alcune intriganti altre meno, e spesso affiorano elementi che insinuano come in cucina, dietro alla modifica delle strutture familiari, si stia affacciando anche un apertura nei sapori e negli ingredienti

Benedetta Cucci (a cura di), Ricette delle nuove famiglie d’Italia, Pedragon, Bologna 2010, € 15,00


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JallaJalla – Storia della grappa

Registrazione della puntata del 17 giugno 2011, in studio con Paolo Maggioni e Nello Avellani (JallaJalla – Radio Popolare), dedicata alla storia della grappa.

17 giugno 2011 – grappa

A seguire intervista a Daniele che racconta la sua sangria scorretta. Questa è l’ultima puntata di Pummarola Boat su JallaJalla di Radio Popolare Milano per il periodo 2010-2011.

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