Branzino profumato allo zenzero

 

Questa è una ricetta di Davide.
Ci siamo conosciti qualche giorno fa: lui è cuoco e a volte,
quando tempo e soldi lo permettono, produce per passione e in modo
indipendente cortometraggi e documentari.

In questo momento sta avviando il
progetto di un documentario che ha per oggetto il cibo, l’identità
e la gastronomia; la costruzione della tradizione e il valore che
essa ha per le comunità; la mentalità e il pensiero che
hanno prodotto questa tradizione; la contaminazione con altre
culture.

Già suo nonno era cuoco e lo
zenzero se lo è sempre trovato in casa: è un sapore
tradizionale per lui e ora si è trovato “raggiunto” dai
nuovi gusti che stanno entrando in Italia. Tra una chiacchiera e una
macchina da presa abbiamo trovato il tempo per una ricetta.

La ricetta del
branzino… bè, non è proprio "branzino allo
zenzero", ma piuttosto "branzino profumato allo zenzero",
poiché io lo metto in marinatura. Sfiletto il pesce, lo
condisco con pepe (magari di Sechuan – Cina), ci metto un rametto di
timo, di rosmarino, dell’aglio in camicia tagliato per metà,
delle fettine di cipollotto, fettine di zenzero sottili e del buon
olio, quindi lo lascio riposare per almeno 15 minuti coperto. Io il
filetto lo lascio sempre con la pelle. Passato il tempo, tolgo gli
aromi, scaldo bene la piastra o la padella e ci metto il filetto
dalla parte della pelle, quindi salo.

Posso usare anche
lo zenzero in polvere, d’altronde una volta si trovavano solo le
radici secche. Lo zenzero della marinatura lo posso passare sulla
stessa piastra del pesce, e mangiarlo come accompagnamento.

Davide
Colferai

 

 

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Concorso “Ricette delle nuove famiglie d’Italia”

Di questo concorso sono venuto a
conoscenza qualche giorno fa, perché un’amica mi ha girato la
notizia. A parte la piccola orticaria che il termine “nuove
famiglie d’Italia” e il loghino tricolore mi hanno fatto venire
(fanno tanto integrazione nel senso di “diventate come noi”),
questo concorso ha una sua parte intrigante:

Vorremmo tuttavia andare oltre,
tornare alle origini, capire cioè come nasce una ricetta,
quale storia -o storie- si cela dietro l’alchimia di quei precisi
ingredienti, per quali motivi quella ricetta si è tramandata
nella microstoria di un determinato gruppo di persone e, al
contrario, se con il tempo è giunta a noi modificata, quali
sono i fattori che ne hanno determinato il cambiamento. Siamo
curiosi, ma la nostra curiosità non è fine a se stessa.
Assaggiando, gustando, scoprendo sapori nuovi e diversi provenienti
da cucine di altre tradizioni rispetto alla nostra, ascoltando
segreti e aneddoti, e magari cimentandoci poi in quelle stesse
ricette, magari modificandole, sarà più facile
conoscersi e ri-conoscerci.

Mi risale il prurito quando leggo che,
“per aiutare”, definiscono delle categorie, in gran parte le
stesse della cucina italiana tradizionale più qualcosa tipo
“momenti esotici” (e qui mi gratto un sacco!):

antipasti,
primi, secondi, contorni, dolci aperitivi, insalate, zuppe, ricette
al bicchiere, ricette al cestino (ideali per picnic), ricette con le
dita (finger food), ricette per i bambini, torte salate, panini
sfiziosi, momenti esotici (ovvero quelle ricette che vi piace fare ma
che appartengono alle cucine di altre culture).

Però mi chiedo se io sono solo
uno snob, magari anche geloso delle iniziative altrui, e allora
faccio la mia parte e lo pubblicizzo. Qualsiasi cosa che può
aiutare a evolvere la cucina dal basso, a incrociare le tradizioni, a
fuggire dalla cucina spettacolo e a immergersi nella cucina-racconto,
va bene.

Il termine di consegna è il 31
gennaio 2010, e questo è il sito:

http://www.quantobasta-qb.it/

Un’ultima considerazione che non riesco
a trattenere. Per esperienza so che le persone, spesso, anche quando
modificano o “inventano” in cucina, non lo fanno consapevolmente
come atto creativo. Specialmente nella cucina di tutti i giorni le
aggiunte e i cambiamenti sono estemporanei, normali e casuali
assieme. Per scrivere il libro spesso si è partiti
chiacchierando e poi un po’ alla volta, spesso senza accorgersi,
venivano fuori le ricette. Il rischio è forse che queste
ricette siano quelle degli “appassionati cronici”, gli
sperimentatori compulsivi. Si rischiano magari ricette non frutto di
vero meticciato, ma figlie di una cucina “fusion” (e vai che mi
gratto ancora).

Però a volte penso di essere
veramente snob…

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JallaJalla – Tadao e gli spaghetti tonno, soia e …

 

Registrazione della trasmissione di venerdì 11 dicembre all’interno di JallaJalla a Radio Popolare di Milano.

In studio con Paolo Maggioni

11-12-09.mp3

 

 

 

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“Torta milanese” di Artusi

In effetti questa non è una vera
ricetta scorretta così come la intendo su questo blog, cioè
un’esperienza personale di meticciamento di un piatto già
esistente o di un incontro inedito di sapori legato alle diverse
tradizioni culturali. Anzi, è una ricetta con una precisa
paternità visto che è stata pubblicata da Pellegrino
Artusi nel suo libro La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene
(prima edizione nel 1891).

Però il suo incontro di sapori è
così inconsueto per il palato odierno, in grado di suscitare
in tutti quelli a cui la raccontavo sincero raccapriccio, che non ho
saputo resistere alla tentazione di provarla.

E poi c’è niente di meglio che
darsi delle regole per poterle poi infrangere.

Per farla breve quello che ha
spaventato tutti in questa Torta milanese è il ripieno fatto
di cioccolato e carne lessa, oltre a zucchero, uvetta, cedro candito,
etc. La realtà è che non siamo più abituati, in
Italia, al gusto dolce e salato assieme, che invece ha sempre
caratterizzato la cucina fino al Rinascimento compreso. Questa è
una torta infatti che denuncia la sua ascendenza antica proprio
nell’incontrare un ingrediente per noi “salato” come la carne con
altri dolci come la cioccolata (che nel Medioevo non esisteva). La
torta poi era amatissima nel medioevo e nel rinascimento (le nostre
torte salate arrivano da lì).

Senza contare che poi in Sicilia, ad
esempio, non sono poche le ricette salate dove si aggiunge anche il
cioccolato (come a Palermo nella Parmigiana di melanzane, mi ha
raccontato Daniele).

Alla fine, Artusi ha scelto di
metterla tra i dolci, dando più importanza a questa parte.

642. TORTA
MILANESE

Per
la stranezza della sua composizione sono stato a lungo incerto se
dovevo farvi conoscere questa torta, la quale non ha bastanti meriti
per figurare in una tavola signorile e per piatto di famiglia è
alquanto costoso. Non è per altro da disprezzarsi, e siccome
potrebbe anche piacere, come so che piace a una famiglia di mia
conoscenza, che la fa spesse volte, ve la descrivo.

Carne
tutta magra lessa o arrosto, di manzo o di vitella, netta da
pelletiche o tenerume, grammi 200. Cioccolata, grammi 100. Zucchero,
grammi 100. Burro, grammi 50. Pinoli, grammi 50. Uva sultanina,
grammi 50. Cedro candito a pezzettini, grammi 25.

La
carne tritatela finissima con la lunetta. I pinoli tostateli. L’uva
tenetela alquanto in molle nella marsala e levatela asciutta prima di
usarla.

Mettete
la carne a soffriggere nel detto burro, rimestandola continuamente
onde non si attacchi, e quando avrà preso un colore alquanto
rossiccio levatela dal fuoco per lasciarla diacciare.

Sciogliete
al fuoco la detta cioccolata, grattata o a pezzetti, in tre
cucchiaiate d’acqua, e sciolta che sia uniteci lo zucchero e poi
versatela nella carne, aggiungendovi i pinoli, l’uva e il candito e
mescolando il tutto.

Ora
formate una pasta frolla per rinchiudervi la torta come appresso:
Farina di grano, grammi 170. Farina di granturco, grammi 80. Zucchero
a velo, grammi 80. Burro, grammi 70. Lardo vergine, grammi 25. Un
uovo. Vino bianco o marsala, quanto basta per poterla intridere.

Prendete
una teglia proporzionata ove il composto non riesca più alto
di un dito, ungetela col burro o col lardo, e con una sfoglia sotto
ed un’altra sopra, quest’ultima tirata col matterello rigato,
chiudetelo in mezzo.

Dorate
la superficie col rosso d’uovo, cuocetela al forno o al forno da
campagna e servitela diaccia.

La ricetta è
facile (come seconda ammissione confesso che ho preso la pasta frolla
già fatta; il cioccolato è fondente grattugiato): i
miei commensali lo sapevano già e perciò niente
sorpresa, ma poi l’hanno assaggiata anche altre amiche e amici “al
buio”, e nessuno ha riconosciuto la presenza della carne. Anzi, il
commento più usato come complimento è che la carne
proprio non si sentiva, anche se poi a farci caso…

Prima di chiuderla

Non diventerà la
ricetta della mia vita, ma non escluderei di rifarla, magari
aumentando la quantità di carne in maniera da non nasconderne
la presenza.

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Pranzo scorrettissimo a Torchiera

Menù veramente scorrettissimo quello preparato da Andrea e
Daniela, ovvero dalla “trattoria La Lapide”. Nonostante il freddo
glaciale, il mercatino biologico organizzato come di consueto ogni
terza domenica dalla Cascina Torchiera (20 dicembre 2009), era regolarmente attivo:
bancarelle di cibo e artigianato vario, persone coperte da
giacconi-sciarpe-cappelli a malapena riconoscibili. Un appuntamento
ormai consolidato e prezioso, che conferma il ruolo vitale raggiunto
da cascina Torchiera e messo in pericolo dalla vendita del Comune di
Milano.

Dentro la cucina, un po’ più
calda di tutto l’intorno, tra vapori e profumi, Andrea e Daniela
hanno scodellato una trippa allo zenzero, una pastasciutta e uno
sformato di verdure e formaggio. Ottima la trippa, soprattutto per la
qualità della carne (non sbiancata dalla soda, da mucca
“felice”) e insaporita dal “pizzichino” dello zenzero, posto
nella frittua insieme al peperoncino, che stemperava l’umore forte
della carne.

 La trippa è pronta

Buono lo sformato, preparato con la
“straniera” feta, insieme a broccoli lessi e un po’ di ricotta, e
poi infornato.

Molto particolare la pastasciutta, con
un mix di sapori ardito ma perfettamente riuscito, che mischiava
suggestioni nordiche (le mele) con vigorosi sapori nostrani (il
gorgonzola). Secondo le dosi fornite da Andrea, ci vogliono due-tre
cipolle affettate nel soffritto, con una mela e mezza a pezzettini
(la più aspra possibile), due-tre cucchiaini di miele e un
etto e mezzo di gorgonzola alla fine per mantecare quando il frutto è
sciolto. Nell’entusiasmo destinava quest sugo per condire la pasta a
due persone, ma credo che per quattro sia più adeguato.

Tutti, anche quelli che non l’avrebbero
presa avendo un’alternativa (come hanno ammesso durante la
presentazione del libro), l’hanno apprezzata.

Complimento a cascina
Torchiera, e totale solidarietà.

http://torchiera.noblogs.org/

 

 

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Spaghetti tonno, soia e…

 

Ho conosciuto Tadao a una cena
siciliana che Daniele (complimenti Daniele) preparò per un
gruppetto di amiche e amici qualche settimana fa. E così, tra
arancini e riso al nero di seppia e in attesa di una cassata al forno
(una bomba!), la chiacchiera è scivolata sulla cucina
meticcia.

Tadao ha raccontato di spaghetti con
uova di merluzzo e burro che si fanno in Giappone, ma le uova di
merluzzo sono un po’ introvabili in Italia e così ha
proseguito con la ricetta di un’altra pasta, più veloce e con
ingredienti rimediabili. Precisando che nessun italiano ha mai voluto
assaggiarla, tutti colpiti da ribrezzo alla sola vista della
preparazione del condimento: tonno, salsa di soia e maionese.

Devo dire che anch’io nutrivo qualche
riserva sulla presenza della maionese, ma visto che ne volevo parlare
a JallaJalla su Radio Popolare ho deciso di provare. Da solo, visto
che tutti tutti (morosa, amici, amiche, parenti) si sono rifiutati.
Per 150 g di pasta ho mescolato una scatoletta di tonno (naturale),
un cucchiaio di salsa di soia e un cucchiaio di maionese (uno stupido
tubetto industriale, che butterò via quanto prima perché
non uso) e naturalmente un goccio d’olio.

Beh, devo dire che alla fine l’ho
mangiata di gusto. Gli amici sostengono che ormai ho perso ogni senso
del gusto. Può darsi, però meglio provare…

 

 

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Risotto al melograno

Anche questa ricetta è
dell’amico Enrico Blasi, che già mi aveva dato quella della
Pasta e fagioli con il cacao amaro, che devo dire sta
diventando uno dei piccoli grandi classici della mia cucina. Questa
me l’ha spedita un paio di mesi fa, e solo ora la pubblico (causa
pigrizia). Le foto sono di qualche giorno fa, quando l’ho provata con
gli amici con buon successo. Il melograno, mannaggia, non l’ho
raccolto dagli alberi ma dal bancone di un supermercato.

È una ricetta sperimentata
alcuni giorni fa, dopo aver raccolto alcuni melograni e avendo un
vago ricordo di un riso mangiato in Iran, molto, molto tempo fa. A me
è sembrato buono, ma avevo il palato nei ricordi, quindi…

Viene bene anche senza albicocche. Provalo, ne vale la pena,
risulta un po’ asprigno (melograno) e un po’ rotondo (parmigiano). In
origine usano il basmati. io, italianizzando, vialone nano.
Riso e
melograno (dosi per 4 persone)
400 g di riso, 3/4 di litro di
brodo, olio o burro (io uso l’olio per ragioni di colesterolo, ma
secondo me il burro è meglio) altrimenti 50/50, 1 cipolla
grossa, 1 grosso melograno maturo sgranato, 2 o 3 albicocche secche,
qualche filo di zafferano (1/2 grammo), un pizzico di curcuma,
parmigiano, pepe bianco.

Prendete i grani
del melograno e ricavate il succo, tenendo da parte una discreta
quantità di rgani interi da usare quasi a fine cottura.
Fate imbiondire la cipolla e le albicocche a pezzetti nel burro,
poi toglietele con un mestolo forato e mettetele da parte. Aggiungete
il riso e lasciate tostare mescolando, a seguire il succo del
melograno e via via tirate a cottura col brodo, aggiungendo il sale
secondo le proprie abitudini; a tre quarti di cottura mettere le
albicocche. A due minuti alla fine cottura aggiungete i grani di
melograno interi e poi il formaggio grattugiato (non molto però, al
massimo 70 g). Buon appetito.

Enrico Blasi

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Vincitore in Italia del GOURMAND WORLD COOKBOOK AWARDS 2009

 

 

Ho
aspettato un po’, ma in effetti la mia anima da narciso non poteva
attendere ancora a lungo. Q
ualche mese fa la casa
editrice venne contattata dagli organizzatori del GOURMAND WORLD
COOKBOOK AWARDS 2009
, concorso mondiale per libri di cucina, per
sapere se desideravamo partecipare. Nessun premio in denaro o altro
in palio, solo “gloria” e contatti editoriali: per poter
competere per il “migliore nel mondo”, che si proclamerà a
Parigi l’11 febbraio 2009, sarebbe stato necessario risultare il
migliore nell’ambito della propria nazione secondo una giuria scelta
dal Gourmand. L’Elèuthera non partecipa mai a concorsi
o premi, a meno che non capiti addosso.

 


Per farla breve, Ricette scorrette
è risultato il vincitore in Italia. Siamo ancora un po’
increduli, però decisamente orgogliosi. Ora sto cercando un
volo per Parigi….

 

 

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Presentazione 20 dicembre 2009

 

 

Domenica 20 dicembre, nel corso del Mercato Biologico e delle Autoproduzioni della Cascina Torchiera
Senzacqua, presentazione del volume:

 

 

Ricette scorrette.
Racconti e piatti di cucina meticcia
,
Elèuthera, Milano 2009
Alle ore 13.00, insieme a un “pranzo
scorrettissimo” preparato dalle ragazze e dai ragazzi della
“Lapide”.

 

 

Milano,
piazzale Cimitero Maggiore 18.

 

 

È
anche l’occasione per
seguire e
partecipare alle varie iniziative organizzate per resistere e
denunciare le politiche di svendita e speculazione del Comune di Milano nei
confronti di Cascina Torchiera.

 

 

http://torchiera.noblogs.org/

 

 

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Spesa “etnica” in aumento secondo Coldiretti

 

I prodotti etnici
in vendita nei supermercati hanno avuto il maggior tasso di crescita
tra le diverse tipologie di consumo (cibi pronti, salutistici, di
base, ecc.) con un aumento record del 71 per cento dal 2003 al 2009.
(…) Sulla base delle elaborazioni Ref su dati Iri-Infoscan relativi
al primo semestre 2009, il “carrello etnico” è stato di
gran lunga il più dinamico della distribuzione commerciale ma
la diffusione di questi cibi è in crescita anche nei pubblici
esercizi come dimostra il fatto che – riferisce la Coldiretti – dal
2000 ad oggi sono praticamente raddoppiati i ristoranti etnici
passando dalle 2.511 unita’ agli oltre 4.000 del 2009. La maggioranza
degli esercizi stranieri è gestita da cinesi (…).

http://www.coldiretti.it/docindex/cncd/informazioni/747_09.htm

Sono i dati forniti dalla Coldiretti e
come al solito non si capisce bene cosa vuole dire “etnici”,
termine vago che comprende probabilmente tutto quello che viene da
lontano, ma non quello che per consuetudine si considera
“occidentale”: per esempio messicano o peruviano è
“etnico” ma statunitense no; filippino o indiano sì ma
australiano no; rumeno o moldavo sì ma spagnolo no; e via di
seguito.

Ma superato questo aspetto, rimane il
dato di un aumento di consumo che sembra significativo ma
probabilmente sarebbe da sciogliere. Chi è causa
dell’incremento, gli italiani che consumano “etnico” o gli
stranieri? Esiste un’Italia che sta cominciando a contaminare la
propria cucina con quella altrui, oppure semplicemente gli immigrati
sono aumentati numericamente, hanno un maggior potere d’acquisto e
sono perciò diventati una risorsa economica interessante in
grado di muovere il consumo? (In questi casi il capitalismo può
superare qualsiasi remora ideologica).

Quale che sia la causa, probabilmente
più la seconda che la prima, è una notizia che mi mette
di buon umore.

Nonostante tutti i tentativi contrari,
come quello di una nota ditta di frutta secca che, per pubblicizzare
i propri prodotti “etnici” (zenzero disidratato, etc.), li
definisce “di tendenza”. E mi fa passare la voglia di
acquistarli.

 

 

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