Presentazione 28 febbraio 2010

 

28 febbraio alle ore 18.30, presentazione di: 

Ricette Scorrette. Racconti e piatti di
cucina meticcia

c/o Arci BLOB, via Casati 31, Arcore

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Ossobuco con il cardamomo

 

Ezio è un amico e un ottimo cuoco (in servizio attivo alla
Lapide di Cascina Torchiera a Milano). A lui devo tra l’altro una
parte dell’ispirazione per questo percorso sulla cucina meticcia: una
sera di cinque o sei anni fa, a cena da lui e Fedra, mi preparò
un brasato allo zenzero. All’inizio ero un po’ diffidente, ma
forchettata dopo forchettata cominciai ad apprezzare, e fu uno
stimolo che mi riposò in testa per germinare insieme ad altri
in Ricette Scorrette.


È un cuoco libero, gli piace sperimentare e provare nuovi
ingredienti che assaggia in giro per il mondo o nelle cucine etniche
a Milano. L’altro giorno stavamo chiacchierando di spezie e a sera mi
manda un sms per dirmi che si era dimenticato di raccontarmi che a
volte prepara l’osso buco con il cardamomo:


Un normalissimo osso buco, quando aggiungi la salsa rompi un seme di
cardamomo, massimo due.

Impossibile avere una procedura più
precisa:

Nessuna regola
fissa in cucina… basta lasciarsi andare al gusto e avere un po’ di
culo (io ce l’ho).

La prossima volta che mi preparo
l’ossobuco, mio piatto totemico, ne aggiungerò almeno due di
semi se non di più (lui ama il retrogusto, io con il tempo
sono diventato più tossico e devo aumentare le dosi), dentro
alla gremolada (prezzemolo e aglio tritati, buccia di limone),
dopo aver tirato la carne a cottura con il vino rosso.

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Giovani e xenofobia: con chi non andare a cena?


Sono notizie che si infilano tra un
articolo e un altro, e invece fanno più paura di altre.

È stato presentato oggi alla
Camera lo studio “Io e gli altri: i giovani italiani nel vortice
dei cambiamenti”, promosso dalla Conferenza delle Assemblee delle
Regioni nell’ambito delle iniziative dell’Osservatorio della Camera
sui fenomeni di xenofobia e razzismo ed è stato realizzato da
Swg su 2.000 giovani tra i 18 e i 29 anni. Informazioni succinte
vengono offerte su vari portali.

Da questi dati risulta che l’area
tendenzialmente fobica e xenofoba è del 45,8%, con diverse
sfumature al suo interno. C’è anche una parte più
strettamente legata al cibo:

Scegliere con chi
andare a cena
I giovani hanno messo in testa le persone disagiate
economicamente, giudicano ‘accettabile’ una cena con un ebreo, un
omosessuale o con un extra-comunitario. Accettato, ma con freddezza
un musulmano. Impensabile pasteggiare con un tossicodipendente o un
rom.
(http://www.ansa.it/legalita/visualizza_fdg.html_1705253330.html)

Io mi faccio sempre spaventare da
questi dati, ma poi ho parlato con Anna, una mia amica, che mi ha un
po’ aiutato a inquadrare e a prendere con le pinze questi risultati.

Come sono stati presi? Come sono state
poste le domande? Tutto dipende dai criteri e dalle intenzioni, da
come sono strutturate le ricerche. Ricordiamoci che siamo nel paese
dove il premier sostiene che l’80% degli italiani lo adora (cito a
memoria)… E poi, il 45% è un dato bello o brutto? Si partiva
da uno maggiore e perciò oggi va meglio, oppure è il
contrario?

Intendiamoci, non è per
sottovalutare i dati. Al contrario il problema è che dei
sondaggi mi fido poco, dipende da come sono stati fatti e da che cosa
si voleva dimostrare (esistono raccolte dati imparziali? Non credo).
E poi i dati forniti senza la metodologia lasciano aperta la strada a
confusione. Non è certo con queste informazioni che si può
lavorare

Io continuo serenamente a portare
avanti questo piccolo discorso-ricerca sulla cucina meticcia,
convinto che il cibo sia sempre un terreno di incontro. Come
micro-contributo allego la ricetta italo-rom che avevo pubblicato sul
libro, un dolce raccontato da Ana e Madalina.

Macarone cu brnzà

500 g di pasta, 6
uova, 10 cucchiai di zucchero, 250 g di formaggio quartirolo

Lessate la pasta
in acqua salata, scolatela e passatela sotto l’acqua fredda.
Sbattete le uova con lo zucchero fino a renderle ben spumose,
aggiungete il formaggio sbriciolato a mano. In una teglia unta,
alternati con gli altri ingredienti, mettete la pasta a strati e
ponete in forno per venti minuti.

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Terzo al Word Cookbook Awards.

Parigi,
11 febbraio 2010.
Ricette scorrette è terzo
nella “categoria” Foreign Cookery del Word Cookbook
Awards
.

Sono contento, anche se devo dire che
un pensierino al primo premio l’avevo fatto: sul catalogo distribuito
all’entrata il libro era tra i quattro finalisti su ventiquattro
titoli in competizione. “Allora perché
no?”, mi ero detto tutto agitato… Poi, al termine di un’attesa
piena di tensione, Monsieur
Edouard
Cointreau
dal
palco ha declamato come vincitore Inde, intime et gourmande, e
allora sono tornato con i piedi per terra.

In realtà è stato
probabilmente il miglior risultato possibile. Ricette scorrette
era un po’ un fuori casta tra tutti questi libri di edizioni
patinate, con magnifiche foto, firmati spesso da chef professionisti.
In realtà Ricette scorrette non vuole neppure definirsi
un libro di cucina, anzi la cucina è un modo per poter parlare
d’altro: di meticciato, di incontro. Ha già fatto più
strada di quanto si potesse pensare.

Una parola sul premio invece. Si tratta
di una manifestazione praticamente sconosciuta in Italia, ma che
sembra avere un gran consenso all’estero. Nessun premio pecuniario ma
solo “gloria”, e la dichiarata intenzione di mettere in
comunicazione questo mondo editoriale, favorire i contatti. I libri
in concorso arrivavano letteralmente da tutto il mondo e in platea la
presenza era estremamente composita, con persone dalla Cina al
Canada, dal Barhein al Perù; secondo gli organizzatori il 35%
erano francesi, il 35% dall’Europa e gli altri dal resto del mondo.
Ed era competizione vera, bastava assistere all’emozione di chi
saliva sul palco, sentire le urla belluina di rubicondi chef o vedere
gli abbracci tra compassati editor.

Mi ha colpito la scarsità di
titoli italiani, pochissimi in competizione, in sala oltre a me e
Cinzia mi è sembrato non ci fossero altri connazionali.
Disinteresse? Libri non all’altezza? Mah…

A margine era allestita una fiera del
libro di cucina, ma di questo ne parlo un’altra volta.

http://www.cookbookfair.com

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Cuy, ovvero “Porcellino d’india”


Quello che per gli italiani è un
simpatico animale da compagnia, il porcellino d’india, per i
peruviani delle Ande è uno dei più apprezzati animali
da carne, il cuy.

Fin qui nessuna novità, le
reazioni standard vedono l’orrore degli italiani da una parte e la
nostalgia dei peruviani dall’altra, anche se conosco connazionali che
lo hanno mangiato in vacanza e l’hanno trovato buonissimo e peruviani
senza particolare passione perché vengono dalla costa, dove le
abitudini sono diverse.

Sembra una situazione di stallo perché
difficilmente, sia per motivi legislativi che per ragioni culturali,
si potrà vedere in vendita al macellaio (o al pollivendolo?)
il cuy. Neanche nei ristoranti dedicati alla cucina andina
compare nel menù, con buona pace dei peruviani.

La realtà però, come
sempre, è meno lineare. Tanto per cominciare esistono
allevamenti “clandestini” di cuy, in campagna ma credo
anche in casa, che riforniscono quelli che non ne possono fare a
meno. Un mio amico italiano mi ha
detto che il suo portinaio, anche lui italiano, gli aveva proposto
l’acquisto di cuy: evidentemente il giro non è così
chiuso.
Pare siano costosi, ma insomma uno sfizio ogni tanto
ce lo si può levare. Certo
sarà più difficile in città preparare la
pachamanca,
un forno artigianale che si ottiene scavando un buco nella terra,
dove si collocano pietre che si riscaldano con la combustione della
legna e poi la
carne precedentemente condita e macerata. Ma al
forno si può cucinarlo lo stesso.

Ma
soprattutto ho scoperto di recente che la storia del cuy in Italia
come animale da carne non è solo legata all’immigrazione
peruviana. Già nel Cinquecento era stato importato in Italia
come ma secondo le cronache non ebbe alcun successo. Il suo nome
volgare di porcellino d’india ci ricorda proprio che dalle Indie,
cioè le Americhe come venivano chiamate in quel periodo, era
stato portato in Italia. Nel ricettario del cuoco rinascimentale
Bartolomeo Scappi,
Opera.
Dell’arte del cucinare

la cui prima edizione risale al 1570, vi sono ricette dedicate al
Coniglio
d’India
,
che molto probabilmente è lo stesso animale.

Ma soprattutto
Leo, un mio amico, mi ha raccontato che nell’astigiano, quando era
ancora una zona povera, nelle stalle fino a pochi decenni fa si
allevavano i porcellini d’india per mangiarli. E lo stesso mi ha
raccontato una mia amica per l’alta Valle Camonica.

Nessun libro di mia conoscenza sulla
cucina “tradizionale” ha mai riportato notizie del genere. E
siccome non ho motivo di dubitare dei racconti, è più
facile pensare che nelle situazione di economia non ricca anche i
porcellini d’india, al di fuori delle cronache ma come consuetudine
condivisa, era una risorsa come un’altra. E ce la dice lunga su chi
si inventa le tradizioni popolari e tralascia magari le verità
più scomode.

PS Qualcuno ha altre notizie del
genere?

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Nucato, ovvero croccante medievale

È
un periodo che sono concentrato sulla cucina antica, per via di un
lavoro per il Castello Sforzesco di Milano. Vengo così a
contatto con molte ricette ormai sparite dalla memoria e con altre
che sono delle antenate di quelle attuali. L’aspetto più
stuzzicante è che questi testi medievali e rinascimentali
spesso comprendono sapori legati alle spezie, le quali costituivano
il gusto alla moda dell’epoca (dei ricchi, intendiamoci) e che solo
adesso, grazie all’immigrazione, stiamo riscoprendo.

Tra
i piatti che mi è capitato di realizzare c’è questo
Nucato, una sorta di croccante che si trova su un testo di cucina del
XIV secolo di ambito toscano, ma in larga parte ispirato a un
ricettario più antico, collocabile tra fine Duecento e inizi
Trecento, della corte angioina di Napoli.

Del
mele bullito co le noci, detto nucato

Togli
mele bullito e schiumato, con le noci un poco peste e spezie cotte
insieme: bagnati la palma de la mano coll’acqua et estendilo: lassa
freddare e dà a mangiare. E puoi ponere mandole avellane in
luogo di noci.
(Anonimo
toscano,
Libro della
cocina
, secolo XIV)

Il
gusto delle spezie è veramente una scoperta mentre si
sgranocchia questo croccante sotto i denti, regalando sensazioni
nuove a un piatto tutto sommato consueto. È divertente notare
come queste sensazioni, che adesso sono una novità  e
spesso sono considerate “scorrette” nei piatti italiani, qualche secolo fa non solo
erano correttissime ma le spezie erano
addirittura l’oggetto del
desiderio in cucina. Questo nel caso si avesse bisogno di una
conferma sull’identità mutevole a tavola e di come i
cambiamenti siano un fattore normale.

Comunque,
che spezie usare? Ci viene in aiuto una ricetta di un altro libro,
della stessa epoca ma di ambito veneto:

Specie
fine a tute cosse

Toi
una onza de pevere e una de cinamo e una de zenzevro e mezo quarto de
garofali e uno quarto de zaferanno

Pepe,
cannella, zenzero, chiodi di garofano e zafferano, l’unica spezia
coltivata in Italia. Ma poi ognuno fa come gli pare, e perché
ad esempio negarsi il cardamomo o il peperoncino?

Peraltro,
nella prova avevo poche noci e allora ho aggiunto gli anacardi, che
nel medioevo nessuno sapeva cosa fossero…

Nucato
(come l’ho fatto l’altra sera)

120 tra
mandorle sgusciate, noci e anacardi, 100 g di miele, zenzero e
cannello (1 cucchiaino in tutto).

Sciogliete il
miele a fuoco basso, aggiungete le spezie e poi la frutta secca.
Cuocete a fuoco basso almeno venti minuti, meglio se di più;
prima di spegnere unite ancora un po’ di spezie e poi stendete ad
asciugare su carta forno (ma non usate assolutamente le mani come
dice il testo originale). Lasciate raffreddare e asciugare qualche
ora.

Odile
Redon, François Sabban,
Silvano Serventi, A tavola nel Medioevo, Laterza, Roma-Bari
1994, p. 282-283

Ludovico Frati, Libro di cucina
del secolo XIV
, Arnaldo Forni Editore, Bologna 1986 (Livorno 1899),
p. 40

Mi sono ricordato tardi di fare una foto, ed era già quasi finito..

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JallaJalla – Davide e il branzino aromatizzato allo zenzero

 

Registrazione della trasmissione di venerdì 22 gennaio 2010 all’interno di JallaJalla a Radio Popolare di Milano.

In studio con Paolo Maggioni

22 gennaio 2010.mp3

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Mc Italy e l’“hamburger etnico”: meticcio o pasticcio?

Le pubblicità festeggiano un po’
ovunque, anche i quotidiani ne parlano spesso: Mc Donald’s è
diventato glocal e in Italia proporrà una serie di
prodotti studiati per essere di gusto locale e con ingredienti
nazionali.

Da una parte, con un’interpretazione un
po’ disinvolta, c’è chi plaude al successo. Commerciale
inanzitutto (1000 tonnellate di prodotti per un valore di 3,5 milioni
di euro esulta il ministro Zaia) e poi anche quasi “ideologico”:
il gigante del fast food ha perso la sua vocazione a essere identico
a se stesso in tutto il mondo, si adatta ai gusti locali. C’è
chi titola di “hamburger etnico”, una specie di prodotto
meticciato (o pasticciato in questo caso?), dove un piatto
statunistense viene realizzato con ingredienti e combinazioni
italiane.

Dall’altra, ovviamente, è
l’ennesima vittoria del capitalismo che sa adattarsi al mercato e,
senza remore ideologiche e morali, campa bene e vende sempre di più.
Il giro d’affare di Mc Donald’s Italia ha aumentato nel 2009 il
fatturato del 9,5%. Soprattutto, temo, non cambierà nulla
nelle condizioni di lavoro, dell’eccesso di grassi nei cibi, nella
filosofia di prodotto massificato identico ovunque, in tutta la
penisola per ora ma pare lo troveremo anche in Francia e Svizzera.

Per chi non ha mai considerato che il
“Camogli”, panino da autogrill, fosse meglio
del cheese burger perché “italianissimo” , non cambia nulla.

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Libri: Piersandro Pallavicini, “L’Africa nel piatto”



Temo sia decisamente poco tempestivo scrivere una recensione su un
libro pubblicato nel 2008, nondimeno mi è capito di conoscerlo
solo pochi giorni fa e l’ho trovato veramente stuzzicante.

L’ho comprato da quei ragazzi che,
appostati fuori da sedi di mostre, cinema, etc., ti propongono
l’acquisto di libri. È un articolo per me sensibile, ma devo
dire che spesso offrono titoli che non interessano, non di rado li ho
trovati libri mediocri, così qualche volta li acquisto e
qualche volta no. Praticamente sempre però quando l’argomento
è la cucina.

Tanto per cominciare è riduttivo
considerare “L’Africa
nel piatto”
un libro di cucina: le ricette sono
un’esperienza personale che l’autore riceve da immigrati africani con
cui entra in contatto e con i quali spesso condivide anche il pasto.
Rispetto alla formula gastronomica insomma, prevale la dimensione
dell’incontro e del racconto e la cucina diventa un’occasione per
conoscere le persone e il loro rapporto con l’Italia, di come il loro
cibo si coniuga tra nostalgia e adattamento. Così la cucina si
riappropria del piacere della chiacchiera, della condivisione, del
tempo che passa piacevolmente, fuori dalla frenesia un po’ isterica
delle performance gastronomiche.

Le ricette a volte sono “corrette”
e a volte meno perché, anche se raramente, mancano gli
ingredienti originali e ci si arrangia un po’ con quello che c’è.
I paesi toccati sono sette, tutti dell’Africa sub-sahariana:
Camerun, Congo, Costa d’Avorio, Ghana, Nigeria, Senegal e Sudan.

È un libro piacevole da leggere
e che mi ha fatto venire molta più voglia di mangiare di tanti
altri testi.

Temo non sia facile trovarlo in
libreria, probabilmente più comodo ordinarlo via web dalla
casa editrice. Ma forse è meglio fare la posta ai ragazzi che
vendono libri e cercare da loro


Piersandro Pallavicini, L’Africa nel piatto. 7 paesi e 17 ricette
africane a prova di italiano
, Edizioni dell’Arco, Bologna-Milano
2008, pp. 96 – 6,90 euro


http://www.ediarco.it/

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JallaJalla – Daniela e Andrea e il pranzo scorrettissimo a Torchiera

 

Registrazione della trasmissione di venerdì 8 gennaio 2010 all’interno di JallaJalla a Radio Popolare di Milano.

In studio con Paolo Maggioni

8 gennaio 2010.mp3

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