Cuy, ovvero “Porcellino d’india”


Quello che per gli italiani è un
simpatico animale da compagnia, il porcellino d’india, per i
peruviani delle Ande è uno dei più apprezzati animali
da carne, il cuy.

Fin qui nessuna novità, le
reazioni standard vedono l’orrore degli italiani da una parte e la
nostalgia dei peruviani dall’altra, anche se conosco connazionali che
lo hanno mangiato in vacanza e l’hanno trovato buonissimo e peruviani
senza particolare passione perché vengono dalla costa, dove le
abitudini sono diverse.

Sembra una situazione di stallo perché
difficilmente, sia per motivi legislativi che per ragioni culturali,
si potrà vedere in vendita al macellaio (o al pollivendolo?)
il cuy. Neanche nei ristoranti dedicati alla cucina andina
compare nel menù, con buona pace dei peruviani.

La realtà però, come
sempre, è meno lineare. Tanto per cominciare esistono
allevamenti “clandestini” di cuy, in campagna ma credo
anche in casa, che riforniscono quelli che non ne possono fare a
meno. Un mio amico italiano mi ha
detto che il suo portinaio, anche lui italiano, gli aveva proposto
l’acquisto di cuy: evidentemente il giro non è così
chiuso.
Pare siano costosi, ma insomma uno sfizio ogni tanto
ce lo si può levare. Certo
sarà più difficile in città preparare la
pachamanca,
un forno artigianale che si ottiene scavando un buco nella terra,
dove si collocano pietre che si riscaldano con la combustione della
legna e poi la
carne precedentemente condita e macerata. Ma al
forno si può cucinarlo lo stesso.

Ma
soprattutto ho scoperto di recente che la storia del cuy in Italia
come animale da carne non è solo legata all’immigrazione
peruviana. Già nel Cinquecento era stato importato in Italia
come ma secondo le cronache non ebbe alcun successo. Il suo nome
volgare di porcellino d’india ci ricorda proprio che dalle Indie,
cioè le Americhe come venivano chiamate in quel periodo, era
stato portato in Italia. Nel ricettario del cuoco rinascimentale
Bartolomeo Scappi,
Opera.
Dell’arte del cucinare

la cui prima edizione risale al 1570, vi sono ricette dedicate al
Coniglio
d’India
,
che molto probabilmente è lo stesso animale.

Ma soprattutto
Leo, un mio amico, mi ha raccontato che nell’astigiano, quando era
ancora una zona povera, nelle stalle fino a pochi decenni fa si
allevavano i porcellini d’india per mangiarli. E lo stesso mi ha
raccontato una mia amica per l’alta Valle Camonica.

Nessun libro di mia conoscenza sulla
cucina “tradizionale” ha mai riportato notizie del genere. E
siccome non ho motivo di dubitare dei racconti, è più
facile pensare che nelle situazione di economia non ricca anche i
porcellini d’india, al di fuori delle cronache ma come consuetudine
condivisa, era una risorsa come un’altra. E ce la dice lunga su chi
si inventa le tradizioni popolari e tralascia magari le verità
più scomode.

PS Qualcuno ha altre notizie del
genere?

Informazioni su Andrea Perin

Architetto museografo, cultore della cucina per passione
Questa voce è stata pubblicata in Nuovi ingredienti e contrassegnata con . Contrassegna il permalink.

2 risposte a Cuy, ovvero “Porcellino d’india”

  1. Carlo scrive:

    Non so se ti interessa ancora, ma negli anni 50 e 60 in tutta la Toscana, dove più dove meno, venivano allevati. Io ricordo benissimo nelle campagne di Trequanda, un comune in provincia di Siena, alla metà degli anni 60 molti contadini che li allevavano. Questa usanza scomparve totalmente all’inizio degli anni 70. Il motivo è da ricercarsi nella eccessiva prolificità, e nelle piccole dimensioni della specie. A un certo punto il contadino si ritrovava con decine e decine di questi animaletti e le possibilità erano due o ci si cibava solo della carne dei porcellini d’India o si smetteva di allevarli. Io li ho mangiati: carne compatta, profumata, e tenera. Una delizia, forse un pò dolce.

  2. VilCatto scrive:

    Mio nonno (in Calabria) li allevava per alimentazione; ne teneva una coppia ed eliminava i piccoli prima che raggiungessero la maturità cucinandoli alla brace con le erbe aromatiche (soprattutto rosmarino). Io stesso ne ho mangiato fino all’ età di 10 anni circa (1975).

I commenti sono chiusi.