RICETTE SCORRETTE a TRIESTE – 31 agosto 2010

Piazza Ponterosso – Trieste, 28 agosto – 5 settembre

SOTTO LO STESSO CIELO – Solidarietà e Convivenza 2010

martedì 31 agosto, ore 18:30 presentazione di RICETTE SCORRETTE

L’incontro, a ingresso libero, è realizzato in collaborazione con la Libreria Lovat (Viale XX Settembre, 20 3° piano Oviesse) presente alla manifestazione con le sue proposte tutt’altro che convenzionali. Modererà l’incontro il direttore di Radio Onde Furlane Mauro Missana e tra i tanti ospiti invitati, va sottolineata la presenza della scrittrice e narratrice Laila Wadia, curatrice di Mondopentola (Cosmoiannone ed.), un’antologia di racconti scritto da tredici scrittori migranti e no, sul tema della cucina come incontro/scontro tra culture. A novembre pubblicherà il nuovo libro Come diventare italiani in 24 ore (Barbera edizioni).

Altre informazioni sul sito della manifestazion:

http://www.aciesse.net/sottolostessocielo

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Risotto alla belga (con l’indivia)

Ho conosciuto Caroline a Genova, durante la presentazione del libro. Lei, belga, mi aveva promesso delle ricette che attendevo golosamente da quel giorno. Vi propongo la prima, sfiziosa: e poi, finalmente, non si tratta di pasta ma di risotto, altra pietanza assai disponibile alle contaminazioni.

Le altre a settembre (pausa estiva…).

Ecco la mia ricetta scorretta belgo-italiana: risotto alla belga.
Non metto quantità precise, perché io cucino sempre ad occhio, e poi ognuno
si può regolare in base al numero di ospiti….

Gli ingredienti sono: scalogno, indivia belga, riso per risotto,brodo vegetale(io lo faccio con aromi e verdure, non uso i dadi….), vino bianco.

Tagliare fine lo
scalogno (quantità a secondo dei gusti), tagliare fine l’indivia
belga levando le foglie esterne e il pezzo duro; fare rosolare in
padella con un po di oglio. Dopo cinque minuti, aggiungere il riso
crudo e mescolare. Bagnare con il vino bianco. Aggiungere man mano il brodo, come per tutti i risotti, fino a quando il riso è cotto.
A secondo dei gusti, si può aggiungere anche verso la fine un po di pepe nero. Servire con parmigiano.
Il gusto ricorda un po il risotto al radicchio, ed è un piatto che i miei amici italiani apprezzano sempre……

Caroline


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Un “mafe” consapevolmente meticcio e inconsapevolmente corretto


La mia amica Cristina è da poco sposa con Babacar (guardate il loro blog
http://cribaba.blogspot.com/).

La ringrazio per questa bella storia di un “mafe” per sedurre. La ricetta (buonissima) è sul libro, per chi volesse.

Come promesso ti racconto come andò che fui ammessa nel cerchio delle
donne della famiglia, senza aver fatto sforzo alcuno e grazie a un
fortunato
metissage culinario.

La prima volta che ho deciso di cucinare per mio marito fu, allora, per
un molto onorevole scopo seduttivo e per meglio apparire scelsi un
piatto del suo paese, un piatto senegalese. So fare bene il
mafe,
che tu hai assaggiato, uno spezzatino al burro di arachidi che mi
piace in maniera particolare. All’ultimo momento mi resi conto di non
avere riso bianco per fare
ñancatan (il tipico accompagnamento di riso bianco cucinato pilaf) e scovai
nella dispensa una busta di farina gialla con cui misi su una bella
polenta.

Mi sembrava assolutamente adatta, sia al piatto denso e saporito che al
mese invernale. Non sai quanto Babacar ha riso del mio accostamento!
Se l’è sicuramente goduto, ma il mio
mafe
toubab
(toubab sta per
bianco, inteso come bianco di pelle) è stato oggetto di numerosi
racconti con cui sono stata lungamente presa in giro davanti ai suoi
amici, che si tenevano letteralmente la pancia a immaginare questa
toubab
che non solo si avventurava nella cucina africana ma osava anche
rivedere una ricetta tradizionale con tanta disinvoltura – mi
trovavano particolarmente buffa e particolarmente
naïve.

A gennaio vado in Senegal a conoscere mia suocera e le cognate, e
ovviamente ero agitata e intimidita: altrettanto ovviamente una delle
prime domande è stata: “Ma tua moglie sa cucinare??” con
quell’aria innocente che è un misto tra benevola superiorità e vago
disprezzo.
Quando Baba ha cominciato a raccontare del
mafe
toubab
volevo
sprofondare. Se non che la mamma, una signora di origine
peul
, con le mani e i piedi dipinti di blu e un’innata eleganza, lo
interrompe sul più bello ed esclama: “Ah! il
mafe
con la polenta! è un piatto tipico del Mali, loro lo cucinano così!
Buonissimo!”. E in un attimo ho passato l’esame da moglie e
ottenuto l’ammissione a far parte della famiglia a tutti gli effetti.

Non ho, purtroppo, una fotografia del piatto da mandarti: rimedio con una
foto di mia suocera, donna
métisse
(di origine peul e toucouleur, sposata a un wolof), femminista in un
paese orientato all’opposto, che mi ha accolta come poche volte una
suocera africana accoglie una nuora europea.

Un abbraccio forte forte

cri

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Cucina meticcia: due chiacchiere

 

Non sono un frequentatore particolare
di blog, liste, forum, etc. Così scopro, assolutamente per caso, che
dopo aver presentato il libro a Genova qualche giorno fa (a
proposito: un grazie forte per la bella accoglienza e il partecipato
e allegro scambio di opinioni e racconti: ma aspetto ancora le
ricette italo-belghe!), è partito un dialogo su un forum sul tema
del meticciamento in cucina:

http://www.dilucide.com/lafinestrasulcortile/viewtopic.php?f=2&t=4517&st=0&sk=t&sd=a

Piuttosto vivace direi, divertente,
divertito, con quelli che a me sembrano un sacco di interventi. Mi
sembra di leggere un po’ le chiacchiere che accompagnano solitamente
le presentazioni del libro: da una parte il meticciato come
prospettiva intrigante, politicamente corretta (che palle!), con
esperienze che ognuno ha da raccontare. Dall’altra la consapevole e
convinta difesa orgogliosa dei propri cibi identitari, su cui non si
transige: “Bravo Andrea, bel lavoro, sono proprio d’accordo, sono
disposto e curioso di tutti queste ricette scorrette e altre ancora.
Ma non sul mio piatto preferito”. A Bologna non si mollava sul ragù,
a Genova si difendeva il pesto; per ognuno il suo, quello
dell’origine geografica o della mamma.

Ogni volta mi accorgo quanto il termine
“meticcio” usato per la cucina sia tutto sommato un espediente
politico e furbetto, perché il meticciato non è un processo
artificiale contrapposto all’identità, ma uno svolgimento naturale
che con tempi a volti lunghi destruttura e costruisce la pratica
quotidiana culinaria. Molte cose si conservano, altre si cambiano
così lentamente che non te ne accorgi, altri le scopri migliori di
quelle precedenti, qualcosa si perde.

Certo, oggi il meticciato è un termine
politico perché la situazione lo richiede, perché serve per andare
oltre l’ottusità nazionalista. Perché la cucina è anche uno
strumento per arrivare alla società, come espediente per parlare di
accettazione, scambio e rispetto oltre il circolo ristretto di quelli
con cui siamo d’accordo.

E anche perché, banalmente, è
sfizioso mangiare cose nuove e conoscere la loro storia.


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“Spaghetti curry”

 
Estate, tempo di vacanze in giro per il mondo, per chi può permetterselo.
Ma è anche l’occasione per assaggiare cibi nuovi e, qualche volta, di curiosare su come la cucina italiana viene interpretata in giro. Tenendosi alla larga dalla classica affermazione del turista medio che "all’estero si mangia male", perché nel suo villaggio attrezzato la pasta era scotta e il ragù diverso da quello di mamma, spesso si possono trovare evoluzioni curiose di nostre pietanze.
Negli States, ad esempio, la comunità italiana è spesso molto presente e la letteratura gastronomica sulla cucina è fiorente. Quando mi è capitato di sfogliare un po’ di libri, mi è sembrato di poter fare una banale distinzione. I volumi con una certa attenzione editoriale, costosi, sono assolutamente rispettosi di quella che potremmo definire la consuetudine nazionale. Il discorso cambia nelle edizioni economiche dove la visione è decisamente viziata da stereotipi, svarioni e quant’altro, anche quando gli autori si fregiano di origine italiane.

Ma oltre a non esistere gli spaghetti conditi con il curry nella cucina italiana (almeno per ora?), l’affermazione che il “curry è una spezia molto popolare a Venezia” è decisamente spiazzante. Ma scherziamo? Neppure ai tempi di Marco Polo…
Questa pasta non ho avuto ancora occasione di provarla, e non mi ispira neanche molto (colpa della panna però), ma nel libro si posso trovare anche altre ricette "italiane" come l’aperitivo: “Avocado with cheese and balsamic vinegar". Ma forse gli autori hanno confuso il Mexico e i latinos con il Mediterraneo.

Catherine Pagano Fulde and Janette Fulde-Porta, Quick and Easy Italian Cooking, Bristol Publishing Enterprises, Hayward (California) 2004
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Halal Italia – un marchio per un’integrazione di mercato

 

"La nostra cucina e
la nostra civiltà hanno profondi intrecci con la cultura islamica,
da secoli. Dal confronto e dal dialogo tra mondi diversi la nostra
nazione può ricevere una grande ricchezza. È un atto di omaggio a
tutte le donne e gli uomini di fede musulmana che lavorano nel nostro
Paese, cui dobbiamo moltissimo".

Chi l’ha detto? Giancarlo
Galan, ministro dell’Agricoltura del Governo Italiano. Lo stesso
governo, per intenderci, che con l’immigrazione ci va giù duro e
cerca di complicare la vita al massimo.

E allora? Il ministro è
impazzito? Ha cambiato idea il governo?

Ma no, si tratta di
affari, di soldi. Il 30 giugno alla Farnesina, il ministro degli
Esteri Franco Frattini, assieme al ministro della Salute, Ferruccio
Fazio, e al titolare dell’Agricoltura, Giancarlo Galan, ha firmato la
convenzione interministeriale di sostegno al progetto "Halal
Italia", per la creazione di un marchio italiano che certifichi
la conformità alle norme del corano dei prodotti made in Italy dei
settori alimentare, cosmetico e farmaceutico.

"Potranno gustare
lasagne, tortelloni e altri prodotti d’eccellenza del made in Italy
ma con marchio ‘Halal’, cioè certificati secondo i precetti islamici
– ha spiegato Galan – Saranno fortunati ad avere questi cibi e
tutti gli altri prodotti dell’agricoltura e della cucina italiana, ai
vertici mondiali per qualità ed eccellenza".

Continua Confagricoltura:
”I consumatori musulmani più giovani non vogliono limitarsi ai cibi
tradizionali, così è un fiorire di hamburger e lasagne halal; in
Francia e’ stato perfino lanciato uno spumante non alcolico chiamato
‘Notte d’oriente’ per brindare nelle occasioni di festa. I seguaci
dell’Islam, nel mondo, superano abbondantemente il miliardo e mezzo e
rappresentano un business in costante incremento che, nonostante la
crisi, ha fatturati da capogiro: lambisce i 70 miliardi di dollari”.

Hai capito la fortuna?
Maltrattati, sfruttati, spesso offesi, ma quando diventano
consumatori e acquirenti ecco gli viene riconosciuta tutta la
dignità. È un mercato enorme, in espansione, quello dei cibi halal,
dove l’Italia arriva in ritardo ma con tutta la retorica del Made in
Italy. La Coop da tempo ha fiutato l’affare, e l’Unicoop Tirreno ha
aperto un corner halal all’ipercoop Casilino (per ora, a
quanto ne so, è rimasto l’unico).

C’è chi indica queste
notizie come un gran progresso verso l’integrazione: certo, tutti
uguali sotto gli stessi mercati e gli stessi supermercati. È solo
l’economia capitalista che ha bisogno di nuovi clienti, nulla di più.


http://it.notizie.yahoo.com/19/20100701/tit-islam-confagricoltura-convenzione-ha-59fdfba.html

http://www.repubblica.it/economia/2010/06/30/news/halal_italia_prodotti_italiani_a_prova_di_corano-5285396/

http://www.governo.it/Notizie/Ministeri/dettaglio.asp?d=58632


 

 

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Presentazione 2 luglio. Genova, “Cartellino Rosso al Razzismo”


venerdì 2 luglio, ore
19.00.

Campo Ex Corderia,
piazzale Bruno Minoletti, Sestri Ponente, Genova

in occasione di
"
Cartellino Rosso al Razzismo"

organizzato
dall’associazione Macaia per i diritti di cittadinanza insieme a Uisp
(unione italiana sport per tutti), presentazione di:

Andrea
Perin, Ricette scorrette. Piatti e racconti di cucina meticcia,
Elèuthera, Milano 2009

"Cartellino Rosso al
Razzismo" è l’espressione di una rete di persone, associazioni,
organizzazioni informali che nelle loro varie attività hanno inteso
lo sport ed il calcio come un’irrinunciabile occasione comunitaria
di festa, incontro, agonismo sportivo, antifascismo ed antirazzismo.
È una rete di italiani e migranti, di centri sociali, associazioni e
tifosi, che ha tentato di cogliere appieno lo spirito dei Mondiali
Antirazzisti, dove non viene premiata la squadra più forte, ma la
realtà sportiva e sociale che ha saputo meglio praticare e vivere la
solidarietà e l’antirazzismo. Partecipano 24 squadre, la maggior
parte delle quali composte da migranti e rappresentative delle più
varie origini: Maghreb, Ecuador, Perù, Etiopia, Somalia,
Senegal…spesso si tratta di squadre meticce, dove italiani,
migranti e nuovi cittadini italiani giocano insieme e si sfidano.

http://www.dirittinrete.org/ita/index.php?option=com_content&task=view&id=259&Itemid=67

 

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Il Sapore dell’Arte. Guida gastronomica ai Musei del Castello Sforzesco di Milano

Finalmente è uscito. In questo volume curato da me insieme a Francesca Tasso (Conservatrice Responsabile delle Raccolte Artistiche del castello Sforzesco di Milano), sono riuscito a mettere insieme passione e lavoro, cucina e musei.

L’idea è semplice:
accostare a un’opera d’arte una ricetta della stessa epoca a cui si lega per l’iconografia e il contesto storico o sociale. Usare insomma la cucina per spiegare l’arte e il museo: oltre a un’introduzione (“Per una storia del gusto”), vi sono 27 opere d’arte (arazzi, quadri, ceramiche, avori, etc.) e una ricetta antica, presentata nel testo originale e nella interpretazione (fedele il più possibile) moderna, e un commento.

Una piccola rivoluzione, a suo modo, per scardinare l’impostazione spesso polverosa dei musei, per proporre una visione diversa visione a quella, spesso unica, estetico-formale che prevale nelle sale. E suggerire che per visitare i musei si possono usare anche proprie categorie, non solo quella che ci viene fornita dagli esperti. Non dubito che per i più compassati e austeri storici dell’arte addirittura potrebbe essere letta come una dissacrazione, un intervento fuori luogo. Peccato.

Invece ritengo che la cucina sia un ottimo strumento per comprendere la società (“Ricette scorrette” per quella attuale ad esempio), anche quella antica. Anzi, ha un certo fascino “assaggiare” la storia, provare a ricostruire i sapori dell’epoca, capire il significato della scelta dei cibi.

E scoprire, guarda un po’, che anche in antico la cucina era spesso meticcia. La “romania
di pollo” ad esempio era un piatto persiano (da “ruman”, melograno in lingua) che in un testo della corte Angioina di Napoli, nel XIV secolo, viene accolto e modificato con l’aggiunta del lardo. Di alcuni, come il “Nucato” e la “Polenta di miglio” avevo scritto anche su questo blog.

Non so quanto sarà facile trovare questo libro in vendita: non credo che Skira abbia una
grande distribuzione, e non credo che questo volume sarà in cima ai suoi pensieri. Di sicuro si trova nel book-shop del Castello Sforzesco, molto probabilmente anche in altri visto che, in realtà, è anche un libro che si può leggere svincolato dal percorso.

Per chi fosse interessato, infatti il Sapore dell’Arte è anche e soprattutto un percorso all’interno delle sale dei musei del Castello, con a fianco delle opere un piccolo pannello con la ricetta e la sua spiegazione.

Per finire grazie a Francesca Tasso, senza di lei questo libro non sarebbe stato possibile. E grazie a Cinzia, che mi ha aiutato e sopportato (e assaggiato tutto), a Sara che ha cucinato la “Torta di herbe” e alla mamma che ha preparato i “Biscotti al cioccolato”.

Andrea Perin, Francesca Tasso (a cura di), Il Sapore dell’Arte. Guida gastronomica ai
Musei del Castello Sforzesco di Milano
, SKIRA, Milano 2010, pp. 96, tavv. a colori e bianco/nero, € 16,00

http://www.skira.net/dettaglio.php?isbn=8857207148&back=visita_guidata.php&page=8&soggetto=17

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Fried Spaghetti – ricetta italo-indonesiana

L’ultima
delle ricette che Maria, indonesiana, ha inviato. Come per le altre
due, è un piatto della sua tradizione che ha rivisitato in base alla
sua esperienza italiana. Grande difficoltà con gli ingredienti: il
Pak-choi o Bok-choi appartiene alla famiglia botanica
delle crucifere, la stessa dei cavoli, proviene dall’Oriente, le sue
foglie per aspetto e forma pare assomoglino a quelle delle bietole.
Il Candlenut è una noce usata spesso nella cucina indonesiana
e malese.

Questa è la ricetta originale di “fried noodle”

1 egg noodle (*), 2 uova, 100 grammi di carne tagliata a piccoli pezzi, 1 mazzetto tagliato in centimetri pakshoi (*), olio per friggere, salsa di soia
dolce (*), sale e condimenti a piacere, frittura di cipolla per cucinare le tagliatelle spruzzata sulla parte superiore (*), 1 spicchio d’aglio, 1 spicchio candlenut tostate e ridotte a una purea liscia(*)

(*) Come per la ricetta del pollo, non riesco a trovare facilmente in Italia questi ingredienti. Quando vedo gli spaghetti, penso sempre alla salsa di
pomodoro. Volendo cambiareun po’, penso che gli spaghetti sono quasi
la stessa pasta, così posso usarli anche per questo tipo di ricetta,
che diventa “spaghetti fritti”. Per me, la chiave di questa ricetta è la salsa di soia dolce. Questo tipo di soia esiste solo in Indonesia, anche in Cina non conoscono questo tipo di salsa di soia. hanno solo la salsa di soia salata e quella agro-dolce. Non hanno la salsa di soia dolce.
Al posto del
Pakshoi uso le zucchine, o qualsiasi altra verdura.

Fried
Spaghetti with soya sauce

1/4
confezione di spaghetti (Capelli d’angelo? …Il più sottile
possibile), 3 pezzi di cavolo tritato, 1 carota tagliata a fette
sottili, 1 pomodoro, 1 pezzo di sedano tritato, 5 polpetta/salsiccia
tagliata a fette sottili (interpreto come wurstel ndr) , 1 uovo cotto
strapazzato, 1 cucchiaino di pepe, 2 spicchi d’aglio tritati, 2
cucchiai di salsa di soia, sale qb, zucchero.

Scaldare l’olio, rosolare l’aglio fino a quando diventa fragrante, unire il
pepe, sale, lo zucchero, la carota, il cavolo il pomodoro rosolare
fino a che non sono appassiti. Aggiungere i wurstel, gli spaghetti
lessati e scolati, l’uovo strapazzato e la salsa di soia. Mescolare.
Servire con una spolverata di sedano tritato.

Maria


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JallaJalla – Bahaa e il tacchino con “molokheia”

 

Registrazione della
trasmissione di venerdì 28 maggio 2010
all’interno di JallaJalla a Radio
Popolare di Milano.

In studio con Paolo
Maggioni

jallajalla 28 maggio 2010.mp3

 

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