La cucina di Sandokan e Yanez: “frutta cotte”

“Tigrotti a me!”. Quanta nostalgia dietro a questo grido che da bambino urlavamo nei nostri giochi. I libri di Emilio Salgari sono stai quelli su cui più di tutti si è esercitata la mia giovanile passione per la lettura, hanno nutrito la mia fantasia e ancora adesso smuovono d’istinto le mie passioni. E anche se non trovo indimenticabile il libro di Paco Ignazio Taibo II (Ritornano le Tigri della Malesia), me lo sono letto di un fiato e mi sono immerso fino in fondo in questa interpretazione anticolonialista e antimperialista, venata di un po’ di malinconia.

Qualche tempo fa mi era venuto in mente di proporre un lavoro sulla “Cucina di Sandokan” a qualche casa editrice, ma con risultati poco lusinghieri. Pazienza, mi è rimasto il divertimento di scoprire che le Tigri della Malesia, appoggiati fucili e kriss, mangiano di gusto e che Salgari è spesso preciso nel descrivere le pietanze.

Certo, i piatti di Sandokan, Yanez e Kammamuri non sono realmente malesi o indiani o cinesi, ma un’interpretazione fatta da un italiano di fine Ottocento che aveva letto un sacco di libri. Sono cibi meticci intessuti di fantasia e avventura.

Come ad esempio il piatto apparentemente domestico e dimesso di “frutta cotte” che si mangia Yanez:

I quattro kaltani si erano anzi alzati, tenendo le mani appoggiate sui loro lunghi pistoloni e guardandolo ferocemente. Solo Sandokan rideva silenziosamente, mentre Yanez, sempre imperturbabile, si divorava coscienziosamente le frutta cotte inaffiandole di quando in quando coll’arak che non aveva pagato, né che intendeva pagare.

(Emilio Salgari, Alla conquista di un impero, 1907)

Nonostante la descrizione marginale questa deve essere stata stata una pietanza assai stuzzicante se Yanez, pronto ad adattarsi in cucina ma attento a scegliere quando può secondo i propri gusti, la divora “coscienziosamente”. Il portoghese sta giocando uno dei suoi trucchi per farsi portare al cospetto del primo ministro del rajah dell’Assam e in una “trattoria” di Gauhati, una delle più importanti città del paese, decide di attirare l’attenzione delle guardie. Si finge un arrogante milord inglese e provoca una rissa rubando il cibo agli avventori, non più di “due dozzine d’indiani, appartenenti però alle alte caste, a giudicarlo dalla ricchezza dei loro costumi, per lo più kaltani e ragiaputra”.

Mentre prende solo un paio di cucchiaiate di carri, ossia il curry, che il portoghese scopro nei libri proprio non sopporta, mangia con convinzione le “frutta cotte” e beve l’arrack.

Non cibo da ospedale insomma, ma frutta esotica probabilmente ignota ai lettori dell’epoca, profumata di spezie e piccante di “pimiento”. Per chi volesse accompagnare questa pietanza con l’arrack, un distillato di noce di cocco, con un po’ di fortuna lo può cercare nella sua variante filippina, probabilmente più facile da trovare in commercio: il Lambanog. Quanto alla frutta, ormai si può trovare comodamente anche nei supermercati.

Ecco una possibile rilettura:

1 mango, 1 banana, (qualsiasi altra frutta “esotica”), mezzo cucchiaino di cannella e di zenzero, un pizzico di peperoncino, un cucchiaino di zucchero.

Tagliare la frutta a pezzetti, aggiungere le spezie e lo zucchero e un goccio d’acqua, mescolare e mettere sul fuoco basso. Aggiungere acqua se la frutta tendesse ad asciugarsi, spegnere quando è diventata tenera.


Informazioni su Andrea Perin

Architetto museografo, cultore della cucina per passione
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Una risposta a La cucina di Sandokan e Yanez: “frutta cotte”

  1. Marco Bonello scrive:

    Decisamente \intriguing\… vale la pena di provarci… sì, direi con un alcoool di noci di cocco e non con l’arak, o raki in Turchia, o Ouzo in Grecia o Pastis in Francia, che secondo me copre tutto… forse, tanto per \ meticciare\ un po’ di più, un filino di cognac….
    Saluti e anarchia gastronomico-meticcia

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