La notizia che ho riportato settimana scorsa dei “tortellini halal” ha riaperto una questione sospesa che mi intrigava da tanti anni, precisamente da quando nel 2004 lessi il bellissimo Eccessi di culture di Marco Aime. Stavo scrivendo La fame aguzza l’ingegno e queste parole mi depositarono un’idea che fu poi uno delle riflessioni da cui partii per scrivere Ricette scorrette:
(…) vorrei riportare un aneddoto narratomi da don Piero Gallo, parroco di San Salvario, quartiere di Torino segnato da una forte presenza di immigrati. In una scuola materna del quartiere, frequentata da molti bambini maghrebini, le maestre hanno deciso un giorno di preparare il coucous. Hanno cercato la ricetta «originale» per cucinarlo secondo la tradizione. I bambini erano contenti. Poi una maestra ha chiesto a un piccolo marocchino:
«Ti piace?»
«Sì»
«È come quello che fa la tua mamma?»
«Quello della mia mamma è più buono perché mette uno strato di coucous e uno di tortellini, uno di coucous…»
da Marco Aime, Eccessi di culture, Einaudi, Torino 2004, pp. 135-36
Storia bellissima, che Aime stesso ha citato puntualmente in altri libri. Storia che poi almeno un paio di persone mi hanno raccontato perché riportate da loro amici (“senti cosa gli è capitato”): ora i casi sono due, o gli amici contavano balle oppure la storia è un po’ come “mio cuggino”, una leggenda metropolitana.
Nel dubbio, mi sono deciso a cucinarla, affrontando i vari piccoli problemi. Tortellini quali? Non di carne ovviamente (non halal essendo fatti con il maiale) meglio quelli di magro. Conditi con che? Ho preparato un sugo da couscous con le verdure e il pomodoro. E per comodità cous cous precotto (anche i tortellini per la verità…).
Risultato? Quando gli amici hanno sentito cosa li aspettava a tavola, la reazione è stata insieme divertita e poco convinta, dopo gentile ma decisamente poco entusiasta. Un paio hanno chiesto il bis, anche se praticamente tutti hanno diligentemente svuotato il piatto.
Risultato finale? Bella la storia comunque, anche se mi rimangono i dubbi che sia troppo bella per essere vera (in tanti anni di chiacchiere con persone non ho mai sentito di un piatto così “programmaticamente” meticcio). E per fortuna che l’ho cucinato tanti anni dopo, magari mi sarebbe passata l’ispirazione…