La mia amica Cristina è da poco sposa con Babacar (guardate il loro blog
http://cribaba.blogspot.com/).
La ringrazio per questa bella storia di un “mafe” per sedurre. La ricetta (buonissima) è sul libro, per chi volesse.
Come promesso ti racconto come andò che fui ammessa nel cerchio delle
donne della famiglia, senza aver fatto sforzo alcuno e grazie a un
fortunato metissage culinario.
La prima volta che ho deciso di cucinare per mio marito fu, allora, per
un molto onorevole scopo seduttivo e per meglio apparire scelsi un
piatto del suo paese, un piatto senegalese. So fare bene il mafe,
che tu hai assaggiato, uno spezzatino al burro di arachidi che mi
piace in maniera particolare. All’ultimo momento mi resi conto di non
avere riso bianco per fare ñancatan (il tipico accompagnamento di riso bianco cucinato pilaf) e scovai
nella dispensa una busta di farina gialla con cui misi su una bella
polenta.
Mi sembrava assolutamente adatta, sia al piatto denso e saporito che al
mese invernale. Non sai quanto Babacar ha riso del mio accostamento!
Se l’è sicuramente goduto, ma il mio mafe
toubab (toubab sta per
bianco, inteso come bianco di pelle) è stato oggetto di numerosi
racconti con cui sono stata lungamente presa in giro davanti ai suoi
amici, che si tenevano letteralmente la pancia a immaginare questa
toubab
che non solo si avventurava nella cucina africana ma osava anche
rivedere una ricetta tradizionale con tanta disinvoltura – mi
trovavano particolarmente buffa e particolarmente naïve.
A gennaio vado in Senegal a conoscere mia suocera e le cognate, e
ovviamente ero agitata e intimidita: altrettanto ovviamente una delle
prime domande è stata: “Ma tua moglie sa cucinare??” con
quell’aria innocente che è un misto tra benevola superiorità e vago
disprezzo.
Quando Baba ha cominciato a raccontare del mafe
toubab volevo
sprofondare. Se non che la mamma, una signora di origine peul
, con le mani e i piedi dipinti di blu e un’innata eleganza, lo
interrompe sul più bello ed esclama: “Ah! il mafe
con la polenta! è un piatto tipico del Mali, loro lo cucinano così!
Buonissimo!”. E in un attimo ho passato l’esame da moglie e
ottenuto l’ammissione a far parte della famiglia a tutti gli effetti.
Non ho, purtroppo, una fotografia del piatto da mandarti: rimedio con una
foto di mia suocera, donna métisse
(di origine peul e toucouleur, sposata a un wolof), femminista in un
paese orientato all’opposto, che mi ha accolta come poche volte una
suocera africana accoglie una nuora europea.
Un abbraccio forte forte
cri