Risotto allo zenzero

Silvia, tra le altre cose, organizza incontri a tema culinario tra donne migranti. L’ho conosciuta un sabato, tra signore che venivano da Perù, Filippine, Albania, Marocco e Italia, tutte intente a seguire la preparazione dei briwat, dolci marocchini.

Anche a lei piace la cucina, e mi ha inviato questa ricetta: “La considero scorretta in quanto generata dalla contaminazione di due ricette analoghe ma con qualche differenza, ambedue attinte da ricettari autorevoli”. E soprattutto l’uso dello zenzero nel risotto, vera incursione meticcia.

Risotto allo zenzero, limone, mortadella e pistacchi

Ingredienti (4 persone)

350 g di riso Carnaroli (l’ho fatto anche con il Vialone Nano e mi ha
dato ugualmente soddisfazione), 1,5 litri di brodo (mezza gallina,
carota, sedano, cipolla patata immersi a freddo in 1,5 litri di acqua
per 25 minuti dal bollore), 2 cucchiai di olio extravergine, 40 g di
burro, 2 scalogni, 4 cucchiai da minestra di parmigiano grattuggiato, una fetta da 150 g di Bologna o Mortadella, un cucchiaio di zenzero fresco grattato, un cucchiaio di zeste di limone (meglio se l’agrume non è stato trattato con pesticidi), 1 bicchiere di
prosecco Conegliano.

Per quelli che sono infastiditi dalla consistenza dello zenzero sotto i
denti…possono ricavarne il solo succo: si trita lo zenzero lo si mette in un pezzetto di lino e lo si spreme delicatamente facendo convergere il succo in una tazzina.

Per guarnire: 4 cucchiai da minestra di pistacchi verdi tritati, un rametto di rosmarino.

All’interno di una pentola di rame imbiondire gli scalogni finemente tritati  nei 2 cucchiai di olio, a fuoco lento. Alzare un poco il fuoco,aggiungere il riso farlo crepitare un paio di minuti, quindi sfumare col vino. Continuare la cottura, a fuoco moderato, aggiungendo le mestolate di brodo bollente, una per volta, massimo due per volta. A cinque minuti dalla fine cottura aggiungere lo zenzero. Spegnere il riso, mantecare con grana, burro e mortadella ridotta in cubetti. Coprire il riso e farlo riposare 5 minuti.

Servire il risotto nei piatti, decorati con un ramettino di rosmarino e
spolverati di pistacchi verdi. Meglio se servito all’onda.

Silvia Menegatti, sil.meneti@fastwebnet.it

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Kebab sì, polenta sì

“Polenta sì, cous cous no”. È
un vecchio slogan della Lega, solo che adesso l’ossessione per il
(cibo) diverso è passato dalla semola nordafricana al piatto
di carne mediorentale.

La Regione Lombardia, su richiesta
della Lega Nord, ha introdotto una serie di normative per “la
vendita di alimentari destinati all’immediata consumazione”: lo
scopo dichiarato è colpire le rivendite di kebab, contro cui
da mesi la Lega in tutta la regione sta conducendo una campagna di
protesta e boicottaggio, ma il risultato è che verranno
colpiti anche tutti gli esercizi artigianali, con gioia degli altri
esercizi pubblici (“Finalmente anche gli artigiani dovranno
rispettare le regole dei pubblici eserci” ha detto il presidente
dell’EPAM Lino Stoppani).

Ora non si potrà più
consumare i prodotti in strada ma solo nel locale, non si potranno
più servire bibite se non prodotte in casa (basta lattine e
bottigliette), gli esercizi chiuderanno all’una e ci saranno norme
igieniche (già esistenti).

Per sconfiggere gli odiati kebab
insomma, si colpiscono anche pizzerie, gelaterie, pasticcerie,
gelateria e via dicendo. Dovremo mangiare il kebab o il bignè
di nascosto, dietro le panchine, oppure nasconderli dentro un
sacchetto di carta, come gli ubriaconi nei telefilm americani. Se
colti in fragrante bisognerà buttare via tutto velocemente,
sotto le auto parcheggiate o nelle aiuole, come tossici maldestri, e
pulirsi in fretta i baffi. Pizza e kebab uniti nella lotta.

Ma forse questa ossessione non è
solo rivolta allo straniero, ma al fatto che proprio i kebab sono
sempre meno migranti e sempre più meticci. Tanto per
cominciare il prodotto si sta allontanando da quello tradizionale per
diventare avvicinarsi ai gusti italiani: meno piccante, con ketchup e
maionese e non salsa di yogurt, a volte con carni diverse dal
montone; vendono anche pizza e spesso alcolici (che i mussulmani non
consumano). E poi ci vanno proprio tutti, dall’impiegato in giacca e
cravatta all’alternativo con percing, sino alla sci
üra
che va al mercato
.

Insomma, "Polenta sì, kebab sì": prima o poi, come missione
meticcia, dovremo farci un piatto di kebab con la polenta.

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Pollo e patate con latte di cocco

Kumari si era presentata all’intervista
per il libro con ben sei ricette. Non ho potuto pubblicarne più
di due, e mi è spiaciuto lasciare fuori le altre: da tanti
anni vive in Italia, lavorando nelle case ha imparato la cucina
italiana (che segue durante la settimana), e si lancia con gusto e
disinvoltura a incrociare i cibi delle due tradizioni.

Faccio parziale ammenda a questa
mancanza raccontandone un’altra: pollo e patate al latte di cocco.Come le altre, una ricetta di facile
esecuzione.

Il tratto più cingalese è
sicuramente il latte di cocco, praticamente sconosciuto alla nostra
cucina. I puristi lo ottengono dal cocco stesso grattando la polpa,
ma, e credo valga anche per i cingalesi, lo si trova facilmente in
lattina nei negozietti per stranieri. Anzi, mentre stavo facendo la
fila alla casa del piccolo supermercato, gestito da cinesi e
frequentato da mezzo mondo, una signora asiatica mi ha indicato la
mia lattina di latte di cocco e incuriosita mi ha chiesto:
«Per
cosa lo usi?». Le spiego la ricetta e lei annuisce soddisfatta.
«E voi come lo usate?». «Con tutto» ha
tagliato corto con aria vaga.

1,2 kg di patate, 1 kg di pollo, 400 ml di latte di cocco (1 lattina), 1 cipolla, 2 spicchi d’aglio, rosmarino, peperoncino, mezzo bicchiere di vino
bianco,
olio, pepe

Ponete
tutti gli ingredienti a freddo in una teglia, salate e poi mettete
in forno a 180° fino a cottura. A un quarto d’ora dalla fine
aggiungete il latte di cocco.

Io
ho usato fusi di pollo, comodi, ma verrebbe probabilmente meglio con
la carne tagliata a pezzettini. Il peperoncino andrebbe usato con
generosità, non solo per conservare un gusto più vicino
alle preferenze cingalesi (piccantissime), ma anche perché la
fusione tra bruciore e dolcezza (del latte di cocco) è
inconsueta e stimolante.

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Mc Donald’s Ciociaro

 

Mc Donald’s Ciociaro. Detto così
fa un po’ strano, ma è tutto vero: la multinazionale ha
inventato un panino proprio con questo nome, realizzato con
panfocaccia al rosmarino con cotoletta di pollo condita con insalata
e formaggio cremoso al bacon.

Pubblicizzato in tv (ma io non l’ho
visto), rappresenta probabilmente uno di quei nuovi prodotti che
l’azienda si inventa per essere meno “global”, per adattarsi ai
gusti e tradizioni locali (come il formaggio grana con l’hamburger). Insomma un’altra iniziativa furbetta in cerca di nuovi clienti, un (finto) meticciamento industriale. Anzi, mi piacerebbe sapere chi è il creativo che si è inventato questa scemenza e a cosa stava pensando.

Fatto sta che i frusinati non
l’hanno presa bene e pare si siano offesi molto. Sul web stanno girando notizie di possibili esposti all’Autorità garante, fantomatiche rivolte di chef, commenti di politici sdegnati.

Dopo le critiche, McDonald’s Italia si
dice “molto dispiaciuta che la campagna pubblicitaria del panino
Ciociaro abbia urtato la sensibilità di alcune personalità
del Frusinate”. “Lo spot – spiega in una nota la società –
non intendeva assolutamente rappresentare in maniera poco rispettosa
questi territori, i suoi abitanti e le loro tradizioni. Ma, se così
è stato percepito, ce ne scusiamo con tutti coloro che se ne
sono sentiti offesi”. McDonald’s si dice inoltre pronta “a
raccogliere l’invito, che ci è già giunto dal
territorio, di ritrovare nel frusinate proprio lo spunto per nuove
ricette all’insegna del gusto e del rispetto delle tradizioni
locali”.

Insomma, in realtà tutto rischia di finire a tarallucci e vino, secondo la migliore tradizione italica (se si parla di furbetti i migliori siamo "noi"). 
Mario Mancini, presidente della Confederazione Italiana Agricoltori di Frosinone, afferma: "Noi chiediamo alla multinazionale di
continuare a proporre il Ciociaro tra i suoi menù, ma di
impiegare, per la sua preparazione, prodotti autenticamente ciociari.
Chiediamo quindi ai dirigenti della Mc Donald’s di raggiungerci a
Frosinone, perché così potremo guidarli alla scoperta
delle centinaia di aziende agricole che saranno ben liete di vendere
i propri prodotti al famoso marchio di fast food" (da http://iltempo.ilsole24ore.com).

E via, che ci si guadagna un po’ tutti.

Ho provato intanto a guardare nel sito, ma non
vi è traccia di questo panino. Però ho trovato il
Napoli: “Soffice pane alle erbe, gustoso pollo croccante, salsa
cipollina, pomodoro ed una salsa delicatamente piccante. Il
risultato? Un’eruzione di sapore”. Di napoletano non mi sembra ci
sia nulla. A quando le reazioni?

 

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Sać

Sarà capitato a tutti di essere in un ristorante all’estero e non conoscere la lingua.

In un anonimo ristorante nella campagna fuori Sarajevo il cameriere serbo, visto che non riusciva a farsi capire, ci accompagnò a vedere direttamente quello che non riusciva a spiegare.

Sotto una specie di tettoia con pareti in muratore vidi questa pentola e le papille gustative entrarono in contatto con le riminiscenze archeologiche: su un treppiede era posto un padellone di ferro con un coperchio e la brace sotto e sopra. Dentro carne con patate e pomodori.

sac' in azione

Una specie di forno portatile, una forma ceramica conosciuta dalla preistoria fino a prima
dell’industrializzazione delle campagne. Ma quello che conta, menate colte a parte, fu un pranzo buonissimo.

Scocciai tutti finché non riuscii a comprarne una, facendomi poi spiegare qualcosa da un amico a Mostar. La pentola si chiama sać, si usa per cucinare la carne con le verdure e il massimo è utilizzare carni miste (consiglio dell’amico). Con qualche ricerca scopro che il nome viene dal turco e vuol dire qualcosa come “coperchio di ferro o di terracotta”, e che si usa anche per fare il pane.

Va bene, è vero, non è una vera e propria ricetta. Ma con questa pentola in mano si può cucinare qualsiasi combinazione adattandola alla situazione, una cucina meticcia di fatto.

Provo varie volte, e forse una delle migliori è una domenica in Val Grande, in autunno: carni di maiale, cavallo e vitellone, con verdure varie (patate, pomodori, cipolle, carote, cavolfiore) e spezie e profumi a piacere: aglio, rosmarino, peperoncino, etc. Il tutto a
freddo, con un po’ di olio e sale, alzando ogni tanto con un apposito attrezzo il coperchio per poter mescolare. Un’oretta di cottura più o meno.

valgrande

La pentola è proprio in ferro, perciò dopo averla lavata è bene ungerla un po’ (l’olio
di semi è perfetto) per non farla arrugginire.

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Cresceranno pomodori in via Padova

 

Ieri
sera quasi cento persone, 96 per l
‘esattezza, si sono messe in fila
al Parco Trotter a Milano e hanno ritirato la loro piantina di
pomodoro da far crescere.

Come
mi ha raccontato Sara, la maggior parte di loro era ben consapevole
del ruolo da affidare alle piantine: non solo una verdura da
coltivare ma soprattutto un’occasione da condividere con i vicini di
casa, la costruzione di una risposta ai piccoli bisogni quotidiani
che influiscono sulla qualità della vita dei singoli e nella
comunità locale.

 

Pomodori
insomma come strumento di incontro e metafora di conoscenza e
convivenza. Ed è stato bello vedere le persone, molti italiani
ma anche tanti nuovi citta
dini, prendere la propria piantina, farsi
fotografare e andare via orgogliosi verso il proprio terrazzo o,
meglio ancora, il proprio cortile in via Padova, la via più

multietnica d
ella città. A questa via, descritta come
emarginata e problematica da molti, ma vissuta con consapevolezza e
orgoglio da molti suoi abitanti, consci dell’oc
casione di incontro
che può offrire, è dedicato questo progetto “Crescono
in via Padova”, promosso dall’
Associazione Durchblick.

 

Ma
ovviamente la storia non finisce così. La crescita delle
piantine verrà seguita, gli incontri saranno incentivati e gli
scambi suggeriti, avendo come obbiettivo la possibilità di un
uso differente degli spazi comuni.

Fino
ad arrivare a incontrarsi e confrontarsi sul loro uso alimentare,
sull’utilizzo in cucina di uno dei prodotti più ricorrenti nei
piatti degli italiani e degli stranieri residenti nel quartiere.

La
prossima tappa intanto sarà all’Umanitaria in via Barnaba 38,
dal 16 al 19 aprile, insieme agli altri orti d’artista. Ci si vede
lì.

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