L’altro giorno ho acquistato al supermercato una scatola di boulgour, il grano spezzato molto cucinato in Medio Oriente. Di solito lo prendo nei negozietti, dove peraltro costa molto meno, ma avevamo voglia di mangiarlo a cena.
Si tratta di un prodotto decisamente meno frequente del cous cous per i negozi italiani e questo, confezionato manifestamente per gli europei da una ditta francese, mi incuriosiva una po’.
Insomma per farla breve, una volta arrivati a casa vedo che le istruzioni di cottura (essenziali) sono in più lingue, ma solo nella versione francese e olandese viene offerta una ricetta: “boulgour a la carbonara”.
È un esempio di incontro culinario-industriale che lascia sinceramente perplessi: la ricetta della “carbonara” è decisamente lontana da quella comune in Italia, pur con le varianti che si vogliono, in quanto manca di alcuni elementi difficilmente imprescindibili, come ad esempio l’uovo. Così come è altrettanto improbabile che sia un piatto consueto in Medio Oriente, visto tra l’altro l’uso del maiale (lardon).
Non si tratta di “difendere” un piatto italiano dalla contaminazione, ovviamente, ma di essere preplessi da questa operazione: una ricetta pensata da un “creativo” (?) aziendalista, alla ricerca furbetta di stimolare gli occidentali (ma non gli italiani, visto che manca il testo in questa lingua) ad acquistare un prodotto straniero e sconosciuto.
Con un risultato francamente goffo.