Questo è uno dei brani più famosi del libro de La tigre della Malesia, uno dei pochi in cui Sandokan mangia di gusto: un babirussa arrosto (ma esisterà? ci chiedevamo da bambini), mentre il fido tigrotto Giro-Batol tiene per sé il Blanciang.
– Non una parola di più su questa faccenda. A pranzo, ora che l’arrosto è pronto. Questa notte penseremo a metterci in mare colla prua volta al nostro nido.
Il Malese levò il babirussa dai carboni e lo presentò al capitano su di una gran foglia d’arecche, poi andò a frugare in un angolo della stanza, sollevò la terra colla punta del kriss, trasse una bottiglia a metà spezzata, ma ricoperta accuratamente da un pezzo di tela, e ritornò verso di lui guardandone il contenuto con occhio ardente.
– Dell’acquavite, mio capitano! – diss’egli deponendo la bottiglia dinanzi a lui. – Ho dovuto tanto lavorare per poterla guadagnare o meglio strappare agli indigeni, e la teneva nascosta come un liquido prezioso per rinforzarmi una volta preso il mare. Ora siamo due marinai, che non hanno bisogno di una sorsata per lottare contro le onde e contro i venti; potete vuotarla fino all’ultima goccia.
– Grazie, Giro Batol, ma ne avrai la tua parte – rispose Sandokan che mangiava per due come un uomo che non è sicuro all’indomani di fare il medesimo pasto. – Orsù, devi avere fame dopo l’inseguimento che quasi ti costava o un braccio di meno o un sonno per tutta l’eternità. Siedi di fronte a me e fa gli onori della tua capanna. Se vuoi questa notte avere del coraggio per passare sotto il naso degli incrociatori e dinanzi la bocca dei loro cannoni, e della forza per manovrare al remo, se il vento ha la malaugurata idea di non soffiare, empi il tuo stomaco. Domani forse non ne avrai il tempo.
(Emilio Salgari, La tigre della Malesia 1883-84, Le tigri di Mompracem, 1900)
Si tratta di un vero pasto da guerrieri, che approfittano della precaria calma per ritemprare le forze e assaporano voracemente il presente, perché non vi è certezza del futuro.
Il Blanciang non è un invenzione di Salgari (quando mai!) ma un vero piatto malese, il belachan o blachang, una salsa di gamberetti fermentati al sole, probabilmente non troppo dissimile da latino garum. Piatto che nessuno in Malesia, credo, si mangi comunque a cucchiaiate.
Vista l’impossibilità di recuperare in Italia il babirussa, un parente del cinghiale europeo che vive libero nel fitto della giungla malese, si può ripiegare senza timori su un domestico maialetto. La dispensa della capanna di Giro-Batol offre anche “degli ananassi succolenti, delle patate che non avete mai gustato a Mompracem, delle frutta d’artocarpo d’inverosimile grossezza e delle noci di arecche che non domandano che di essere masticate”.
Prendendo spunto da una ricetta che mi ha raccontato Adriano, il “cuoco” della Ciclofficina della Stecchetta a Milano (trasmessa su JallaJalla a radio Popolare – fra qualche giorno la pubblicherò sul blog). l’ananas può essere utile per preparare degli spiedini profumati, alternando la carne con un pezzo del frutto ed eventualmente con erbe aromatiche come ad esempio la citronella, molto amata nella cucina malese.
400 g di lonza di maiale, 200 g di pancetta tesa, ananas
Tagliare a pezzetti di 2 cm per lato circa la carne, spessi mezzo cm la pancetta. Su uno stecchino lungo infilare un pezzo di carne, poi la citronella, la pancetta e un pezzo di ananas, poi proseguire. Mettere a cuocere su un fuoco di braci, oppure in forno su una teglia leggermente unta a fuoco basso.
Bellissima scoperta questo blog.
Con i tortellini e cous cous non mi ero arrischiata, ma mi sa che questi involtini di maiale e ananasso mi toccherà provarli. Grazie 🙂