Parole di frontiera – La serata.


Ci aspettavamo che i piatti portati, tanto dagli italiani quanto dagli immigrati, fossero strettamente identitari. E così è stato praticamente per tutte le ricette, oltre venti, anche se
probabilmente non come pensavamo.

Se ognuno ha cucinato una pietanza tipica della propria comunità di appartenenza, fosse una nazione lontana o la regione di origine (Puglia o Sicilia ad esempio), molti italiani hanno preparato cibi che non appartenevano alla propria cultura: hummus o tabulè, ad esempio, forse per testimoniare la propria disponibilità ad altre culture o forse perché, in realtà, son diventati comunque piatti abbastanza consueti anche nella penisola.

Ma l’identità più forte rivendicata non è stata quella nazionale o regionale, ma soprattutto quella personale e familiare. Quasi tutti, specialmente le persone più mature, hanno preparato pietanze che non mangiavano spesso da decenni, che gli ricordano l’infanzia, e che proprio per questo commosso senso di appartenenza hanno voluto offrire agli altri. La figura di riferimento, in questo caso, era quasi sempre la nonna.

Per gli immigrati la distanza da coprire è geografica e non temporale, ma il senso è rimasto lo stesso: grazie  alla cucina è possibile sentirsi più vicino ai propri familiari, ritrovare con quei sapori una vicinanza e un senso di famiglia. Immigrati da pochissimo, spesso era la prima volta che cucinavano in Italia, e questa scelta era insieme probabilmente un dono verso gli altri e una sicurezza verso se stessi. Una serata sobria e divertente, che i racconti hanno venato di un forte senso emotivo: spesso, confrontandoci alla fine, il sentimento più condiviso era la commozione.

Le ricette e i racconti sono ora scaricabili dal sito del Naga e sull’onda dell’entusiasmo si sta pensando di far diventare tutto questo materiale un libretto. Allego un paio di ricette e di racconti.

Il video dedicato al “Piacere”: http://www.youtube.com/user/nagaonlus#p/a/u/0/nahZxixK0sg

DOMODA
di Muhammed e Lamin (Gambia)

Pollo = uno, Cipolle = due, Dadi = tre, Peperoncini = due, Pomodoro = una lattina sugo di pomodoro, Pasta di arachidi, Olio = poco, Cous cous = 1 kilo

1 – mettere un po di olio nella pentola lascia nel fuoco per cinque
minuti.

2 – mettere pollo alla pentola dopo tre minuti tiralo via.

3 – taglia cipolla e carota mettete nella pentola con olio lascia
anche per tre minuti dopo tiralo via.

4 – mischiare arachidi con pomodoro, mettere nella pentola,
mischiare, mettere un po’ di acqua; lascia per dieci minuti;
mettere tutti gli altri: pollo, cipolla, pomodoro e carote; mettere
anche i dadi: dopo lascia per dieci minuti. Tira via o spegni il
fuoco.

5 – prendi acqua, mettere nella pentola per tre o quattro minuti, o
quando calda, versa il cous cous e mescolare. Lascia per qualche
minuto nella ciotola.

Storia di Muhammed:

Questo tipo di mangiare, è specifico nella mia etnia: Mandinqa. Sono molto contento di cucinare questo perché mi ricorda la mia famiglia, specialmente mia nonna, che cucinava Domoda per noi, sempre. Lei chiama tutti di famiglia, ma anche altri che non sono di famiglia per mangiare insieme. Gli ingredienti non compra, lei produce nel suo orto. C’è il pomodoro, la cipolla, il peperoncino. E lavora anche gli arachidi. Sono ingredienti tipici che lei cambia in mangiare.

Da quando sono partito dalla Gambia, non ho avuto opportunità per mangiare Domoda. Ho mangiato cose diverse in Italia, ma non ho ancora trovato il mangiare che mi ricorda la mia famiglia.

Quando mi hanno informato della cena, sono molto contento di cucinare Domoda per ricordare la mia famiglia. Questo incontro è molto importante perché mi sento come sono con la mia famiglia.

Frittelle di minestrone – Le frittelle della nonna di Franca Alleva

Quando avanzava il minestrone mia nonna ne faceva frittelle. Per me bambina era sempre un evento partecipare a questa preparazione che poi mangiavamo io e lei.

Non ricordo se altri in famiglia le apprezzavano ma per me erano una ghiottoneria. Mi rivedo osserva re la nonna che impasta gli ingredienti, vicino alla finestra, e poi il momento di far rotolare le frittelle scottanti nello zucchero sparso sulla carta da macellaio, marrone e ruvida, e poi l’attesa che smettessero di scottare la lingua per poterle mangiare, io e lei sedute davanti alla finestra che dava sull’ampio cortile dove c’erano i fili per stendere i panni e la lavanderia comune, dove le donne lavavano i panni nelle vasche di granito, e facevano bollir l’acqua dentro il grande pentolone appeso dentro il camino. In queste stesse vasche il sabato le ragazze si facevano il bagno. Da fuori si sentivano le loro allegre chicchiere e si vedevano anche i giovanotti cercare di sbirciare dal buco della serratura.

Le frittelle di minestrone mi ricordano tutto questo, oltre alle scorribande negli orti.

Informazioni su Andrea Perin

Architetto museografo, cultore della cucina per passione
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