Una lepre al mare

 

“Una ricetta troppo corretta Andrea”, mi ha scritto Ezio.
Verissimo. Non è neanche una ricetta, ma un racconto,
un’esperienza. Però, che bello, quando i profumi ti
confondono, quando i luoghi e i sapori si incontrano in maniera
inaspettata. Cos’è la correttezza in cucina? Non esiste la correttezza
in cucina, esiste la curiosità.

Anni fa, quando i miei primi due figli erano ancora piccoli, avevo
la fortuna di passare lunghi periodi estivi di vacanza al mare e il
mare per noi era campeggio libero su spiagge isolate e selvagge.
Quando per stupide leggi di controllo del territorio e la sua
salvaguardia, come se il campeggiatore libero non fosse il miglior
custode di quei luoghi che tanto ama, non fu piu possibile praticarlo
in Italia andammo in Grecia.

Seguendo indicazioni di amici greci, quell’anno arrivammo a
Elaphonisos, una piccola isoletta a 10 minuti di traghetto dalla
costa meridionale del Peloponneso. A sud dell’isola ci sono due
spiagge, una a ferro di cavallo stupenda ma molto frequentata,
l’altra lunghissima metà sabbia e metà roccette, al
confine delle quali c’era il nostro accampamento, un piccolo
cespuglio di macchia dove alloggiavano due panchette un tavolino e
l’amaca dove stare di giorno, fuori le tende e il fuoco per le cene
serali.

Le giornate trascorrevano lente tra libri sull’amaca, giochi di
spiaggia, pesca, raccolta della legna e la preparazione di ottime
cene cotte sul fuoco e consumate al lume di candela, sotto un mare di
stelle. La socialità era garantita dai bambini che tornavano
dalla spiaggia con sempre nuovi amici, così conoscemmo
Agostino, un architetto di Atene, e Antonella insegnante di Biella in
vacanza coi rispettivi figli. Agostino mi perfezionò nella
pesca subacquea e mi insegnò quella del polipo, cosicchè
le nostre cene in spiaggia si arricchirono e la tavola si allungò,
con ottime paste cotte in acqua di mare (solo 1/3), insalate e
grigliate di pesce, e qualche volta per viziare i bambini patate
fritte, cotte anch’esse sul fuoco.

Una sera di fine agosto Agostino disse che il giorno seguente ci
sarebbe stata l’apertura della caccia e che lui sarebbe andato a
lepri, avrei voluto andare con lui e ricordare le giovanili battute
di caccia sulle prealpi bresciane al seguito degli zii, ma la mia
nuova coscienza anticaccia mi trattenne. Ne prese due, Cristina si
offrì per cucinarle in salmì e io, da buon
bresciano,
di fare la polenta. Ma dovetti desistere anche dopo un viaggio in
gommone fino ad una cittadina sulla costa, non trovai la farina e
ripiegai su un umilissimo riso bianco.
Venne la sera della cena,
tutto era pronto, la tavola sulla spiaggia ben imbandita, arrivarono
Agostino con alcuni amici greci e Antonella con una grossa pentola
avvolta in alcuni canovacci che mise al centro del tavolo vicino al
riso.

Ci sedemmo sulla spiaggia attorno al tavolo e dopo un brindisi
Cristina sciolse gli stracci attorno alla pentola e la scoperchiò
liberando nell’aria un profumo così perfetto di carne
selvatica misto ad agro di vino e verdure che feci in un istante un
viaggio spazio-temporale. Mi ritrovai nella cucina del Gulus, un
piccolo ristorante gestito da Eugenio e mia sorella in alta val
sesia, alcuni anni prima intento a tagliare sedano, carote, cipolle e
aggiungerle alla lepre già a bagno nel vino con ginepro,
cannella, noce moscata, aglio e chiodi di garofano, per poi cuocere
il tutto dopo un paio di giorni di marinatura e produrre questo
magico profumo.

Ringrazio ancor oggi il mago elargitore di quell’incantesimo
scaturito dalla perfezione di un profumo: ero lì su una
spiaggia selvaggia in ottima compagnia, a gustare una cena sublime in
pentaloncini e maglietta sotto un cielo stellato col rumore del mare
in sottofondo e fuori dalla finestra in fianco a me nevicava.

ciao zio’

 

(http://ricettescorrette.noblogs.org/post/2010/04/06/jallajalla-ezio-e-le-spezie)

Informazioni su Andrea Perin

Architetto museografo, cultore della cucina per passione
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