Pastasciutta e India

Estate, periodo di viaggi.

Se in questo blog si è sempre
parlato di come la cucina italiana si stia contaminando con quelle
delle nuove culture in arrivo, forse questo è il momento per
verificare cosa succede ai piatti italiani all’estero.

Nessuno sguardo sciovinista, per
favore, nessuno snobismo alla pasta scotta altrui. Ma la curiosità
di vedere come il meticciato in cucina si muova secondo le esigenze e
le contingenze più imprevedibili. Dove gli “altri” sono
gli italiani.

Offro qualche foto di un mio viaggio,
ormai purtroppo di qualche anno fa, in Tamil Nadu, India. Nel mercato
di Pondicherry, piccola cittadina di mare dove l’occupazione francese
ha lasciato evidenti tracce anche nella cucina, mi sono imbattuto in
grandi sacchi di pasta alimentare.

Sì, la nostra pastasciutta, ma
in formati strani e in colori accesi che a noi sono spesso
sconosciuti (chissà come suonerà loro esotica la pasta
in lettere latine, in uno stato dove si scrive in Tamil!). La
produzione era sicuramente locale, la vendita sfusa, ma ignoro come
venisse cucinata: di sicuro era per un uso casalingo, al di fuori
della ristorazione dove non appare mai nel menù (e spesso non
ho mangiato in ristoranti “per turisti”). Un segnale insomma di
come la pasta alimentare, da cibo identitario italiano, sia ormai
uscito dai confini e sia entrato in uso anche dove la nostra
penisola, probabilmente, sanno a malapena che esiste.

Secondo i dati dell’Unione Industriali
Pastai Italiani (http://www.unipi-pasta.it), l’India è al 21°
posto per produzione di pasta al mondo con 100.000 tonnellate
(l’Italia è ovviamente prima con 3.161.707 tonnellate);
mentre non rientra nelle statistiche per il consumo pro-capite, o
almeno è sotto al chilo e non rientra nelle tabelle (in Italia
si consumano 26 k all’anno).

Informazioni su Andrea Perin

Architetto museografo, cultore della cucina per passione
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