Proseguo con i racconti scritti da amici sugli insetti come cibo. Per una volta niente paesi lontani ed esotici, ma tradizioni nostrane!
Oggi è la volta di Francesco Scanu, che già aveva mandato una sua ricetta e che racconta qui il suo personale rapporto con il casu marzu, il formaggio con i vermi, uno dei pochi esempi (altri?) di insetti consumati in Italia.
Attualmente credo che le norme tecniche emanate dall’Unione Europea non ne consentano più la produzione e che sia proibita la sua commercializzazione, essendo ovviamente in contrasto con le norme igieniche e sanitarie stabilite in sede comunitaria. Ma credo che siano disattese…
Casu Marzu
Quand’ero piccolo io avevo cinque anni.
E a cinque anni i sapori troppo forti proprio non ti vanno giù, anzi, tendi a fuggirli come la peste. Così quando il babbo mangiava quel puzzolentissimo casu marzu io mi tappavo il naso e facevo un sacco di sceneggiate tipo faccia disgustata seguita da principi di conati di vomito. Ma da piccolo la durata delle decisioni solenni di solito oscilla tra i tre e i sette minuti netti. Cinque minuti dopo infatti (in perfetta media), arrivava sempre il momento in cui la curiosità e l’attrazione verso l’ignoto prendevano il sopravvento su tutto il resto, e la mia faccia disgustata lasciava spazio a quella sbalordita e incredula: in mezzo al formaggio cremoso che babbo si spalmava sul pane carasau, dei veri e propri vermi, bianchi come il formaggio ma molto più vivi e vegeti del formaggio, si raggomitolavano su se stessi per poi spiccare il volo facendo dei salti mortali alla Juri Chechi!
Questi vermetti compivano dei salti veramente giganti se proporzionati alle loro modestissime dimensioni. E saltavano dappertutto, facendo un vero e proprio casino della malora su tutto il tavolo e nell’intera cucina. Per giunta nel tragitto che la fetta di pane condita compiva dalle mani alla bocca del babbo, molti di questi kamikaze si catapultavano fuori da quel tappeto volante per tentare di salvarsi e non finire tra le fauci golose di mio babbo prima e nel suo apparato digerente dopo. E qui iniziavano le mie crisi interiori: che fare di quei vermi? Avevo la possibilità, legale, di mangiare dei vermi vivi, proprio lì a tavola, di fronte ai miei genitori. Voglio dire: se per caso un giorno con gli amici in campagna, magari per provare il mio coraggio di fronte a tutti loro, avessi provato a mangiare un verme e i miei lo fossero venuti a sapere, sicuramente mi sarei preso una bella sberla e una ramanzina di tutto rispetto; ma qui no! Adesso, a tavola, con mamma e papà accanto, io potevo tranquillamente cibarmi di vermi tra l’indifferenza generale e al più l’approvazione della gente!
Secondo voi cos’ho fatto?! Sì, fanculo al disgusto e allo schifo, la tentazione era troppa!
Il problema fu che quando assaggiai un’idea di formaggio con qualche verme dentro spalmata sul pane, i conati mi vennero davvero. Insomma, trovava conferma la teoria che i gusti troppo forti ai bambini piccoli proprio non piacciono. Così non ebbi altra scelta: i vermi li volevo mangiare, era troppo eccitante e trasgressivo per non farlo e perdere un’occasione d’oro come questa. Così decisi in un istante: avrei mangiato soltanto i vermi. E così feci. Aspettavo che loro saltassero fuori da dentro la forma scoperchiata del pecorino marcio o dalla fetta di carasau e li acchiappavo con le mie due ditina che usavo a mò di bacchette cinesi e me li portavo alla bocca. E li veniva il bello: mica li masticavo subito e li inghiottivo come un qualsiasi altro boccone, no, li poggiavo ad uno ad uno vivi sul centro della lingua, poi di corsa chiudevo la bocca e aspettavo. E il verme di turno non mi deludeva: spiccava il suo salto e mi sbatteva sulla parte alta del palato. Era fichissimo. Accrebbi velocemente la mia abilità di mangiatore di vermi di casu marzu, e iniziai a metterne sulla lingua prima due, poi tre, e infine anche quattro o cinque per volta, che saltando mi solleticavano il palato prima di finire in mezzo ai miei succhi gastrici.
Passarono diversi anni prima che la mia specializzazione di mangiatore di vermi si trasformasse in golosità per il casu marzu “completo” (inteso cioè di formaggio e vermi, non più solo di vermi), e passarono diversi anni prima che ripensassi ai vermi slegati dal formaggio. Successe una sera di qualche anno fa a casa di Alessio. Mentre durante la cena alternavamo lumache al sugo e interiora di agnello, eravamo continuamente infastiditi da un nugolo immenso di micro-moscerini che ci ronzavano intorno.
Alla fine glielo chiesi, e lui confidò. Aveva lasciato una forma di pecorino vecchia e punta su una credenza della cucina, e la natura aveva fatto tutto il resto. I vermi del pecorino marcio (che noi ci mangiamo con gusto e che consideriamo una specialità raffinata da offrire solo agli ospiti più importanti e non a tutti), altro non sono che le larve di una mosca che “punge” appunto le forme di formaggio depositandoci milioni di uova dentro, che crescono nutrendosi dello stesso formaggio e rendendolo così cremoso e che, se non mangiate per tempo, spiccano il volo diventando fastidiosissimi moscerini…
Insomma, il casu marzu coi vermi dentro è davvero una prelibatezza, e posso assicurare che anche se la comunità europea riproverà a proibirlo e renderlo fuorilegge, noi Sardi continueremo a mangiarlo, come facciamo ormai da millenni; ma a voi profani vi do un consiglio, anzi due: mangiatelo quando i vermi sono ancora bianchi e vivi, e se andate a cena da Alessio, controllate la data di scadenza degli alimenti in frigo prima di sedervi a mangiare!
Francesco Scanu