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I
racconti con ricetta di Perin. L’integrazione passa per la
tavola"

di
Silvana Mazzocchi

Andrea Perin, architetto ed esperto curatore di mostre e musei,
decide di scrivere quella che lui stesso definisce una raccolta "di
conversazioni sulla cucina, brevi narrazioni autobiografiche dove le
ricette "corrette", incontrando sapori e gusti di altre
tradizioni", si trasformano, si disfano e rinascono…. Ed ecco
Ricette scorrette, un piccolo libro di racconti, uscito di
recente per Elèutera, che molto bene fotografa l’attualità
culturale contemporanea, mostrando il meticciato in espansione ai
nostri giorni e quell’intreccio di contaminazioni in cui la cucina ha
un ruolo importante, partecipando (e parecchio) all’auspicato
processo d’integrazione in corso nelle società occidentali
moderne. Il cibo come valore simbolico e come elemento fortemente
identitario per ogni popolo sono la premessa di queste ricette
"scorrette", che diventano terreno d’incontro tra persone
capaci, al contrario dei sistemi, di superare più facilmente
pregiudizi, ostacoli e barriere.
Andrea Perin propone trentotto
"racconti con ricetta" che spaziano dai Rom al Camerun, dal
Giappone al Marocco, dalla Corea al Brasile, e molto altro ancora. A
rendere possibile la narrazione altrettanti intervistati: amici,
amici degli amici, o persone incrociate casualmente durante la
raccolta di voci e di memorie. Tutti hanno parlato con l’autore del
loro cibo, dei loro paesi, delle loro tradizioni. E ciascuno ha
fornito gli elementi chiave di una ricetta "meticcia". Ne è
uscito un libro diverso, sapiente e fascinoso, utile per tutti coloro
che sanno distinguere tra la cultura del cibo e un semplice
ricettario.

Lei è un architetto museografo, perché un libro
di ricette?

Più che un libro di ricette, cioè
un manuale che detta regole per la buona cucina, è una
raccolta di racconti e testimonianze. Intendiamoci, mi piace mangiare
e cucinare, ma non sono un cuoco e non ho apportato modifiche alle
ricette che mi hanno raccontato: le ho semplicemente raccolte.
Non
esiste un collegamento diretto tra la mia professione e il libro, ma
punti di contatto sì. Ritengo che l’allestimento di un museo o
di una mostra sia una forma di comunicazione non verbale, che
attraverso una grammatica fatta di materiali, colori, disposizione
degli oggetti e luci sia in grado di evocare e completare la
conoscenza delle opere e di ciò che viene esposto. Una
narrazione senza parole offerta al visitatore.
In questo libro si
trovano ricette, ma soprattutto si leggono i racconti delle persone
che ho incontrato: attraverso le loro parole e le loro esperienze la
cucina entra nell’ambito della conoscenza e del significato del cibo.
Diventa l’occasione per narrare episodi di incontro tra tradizioni e
abitudini diverse, storie di accoglienza e di scambio, oppure di
rifiuto. La cucina si rivela così non solo pratica del gusto,
ma anche un luogo per comunicare.
Cucina meticcia, quale
intreccio di culture riflette?

La cucina italiana, una delle
poche cose che risveglia ancora l’orgoglio nazionale, ha come tutte
le cucine un percorso meticcio fatto di nuovi ingressi,
contaminazioni, incontri legati alle conquiste subite e a quelle
fatte, ai commerci, alle migrazioni. Sono processi che spesso hanno
richiesto secoli ma che ora, nel pieno della globalizzazione
economica che muove persone, merci e informazioni in ogni parte del
globo, diventano più forti e seguono processi potenzialmente
più veloci.
Ora tutti gli alimenti sono disponibili sul
mercato e stuzzicano potenzialmente la curiosità ai fornelli:
come trattenersi dal provare qualche verdura nuova in piatti
consueti?

La presenza di persone nuove inserisce piatti
diversi nella quotidianità, che poi a loro volta si
contaminano. Il kebab per esempio, magnifico piatto da strada, è
diventato ormai una consuetudine per molti e spesso lo troviamo sulla
pizza, sulla bruschetta e via così.
Come le ricette, anche
la convivialità e l’ospitalità ricevono nuova vivacità
dall’incontro. E questo porta a conoscenze che allargano le
prospettive. Certo, in cucina ci vogliono curiosità,
disponibilità e gioia: ma il gusto non è innato, si
impara con l’esperienza e si può modificare e ampliare.

Quando ero piccolo, a Milano, era ugualmente esotico andare al
ristorante cinese o alla taverna pugliese. Ora sono diventate
abitudini quotidiane.
Ma niente di tutto questo è
prevedibile o progettabile: il fascino del meticciamento risiede
anche
nella mancanza di una gerarchia prestabilita tra le parti,
nel suo sviluppo impossibile da guidare soprattutto in cucina. Non si
può definire a tavolino, succede da solo oppure non succede
affatto.
Lei scrive che il mondo è assetato di
identità. Che ruolo ha il cibo nel processo d’integrazione?

Per qualsiasi popolazione la cucina è un elemento che
contribuisce a costruire la percezione dell’identità,
soprattutto per coloro che sono costretti a risiedere in un paese
straniero: si cambiano abitudini, lingua e si rispettano nuove leggi,
ma si cercano conferme della propria appartenenza nel cibo,
specialmente quello casalingo, che rimane nell’ambito strettamente
personale, familiare o di gruppo.
Di contro, la cucina è
anche uno dei veicoli più semplici di comunicazione e di
scambio, può diventare il momento di incontro in cui si opera
una possibile mediazione delle identità; soprattutto
attraverso la contaminazione quotidiana che chiunque, nella propria
casa, porta avanti quasi senza accorgersi. In barba ai ricettari,
spesso si cucina con quello che si ha nel frigorifero, oppure in base
ai prodotti del mercato o all’ispirazione del momento. Molti già
meticciano le proprie pietanze, spesso senza rendersene conto. Ed è
un processo credibilmente destinato a germogliare, non inaridirsi.

Sarebbe ingenuo pensare che a tavola si possano risolvere le
questioni legate alla convivenza, al razzismo o alla xenofobia, ma la
quotidianità è un punto di partenza importante per
affrontare e superare questi temi. Può essere stimolante
considerare che, anche in un aspetto così tipicamente italiano
come la cucina casalinga, l’arrivo delle nuove culture rappresenti
una risorsa e non un limite.

(10 luglio 2009)

Informazioni su Andrea Perin

Architetto museografo, cultore della cucina per passione
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