Zenzero ovvero Zingiber

Sbagliano a prendersela con il
kebab: il vero nemico, l’infiltrato, l’agente mutogeno che sta
cambiando la cucina italiana è lo zenzero.

Fino a pochi anni fa, una ventina al
massimo, non lo usava praticamente nessuno, giaceva nelle drogherie e
nei supermercati nel suo barattolino triste, in polvere. Ora lo trovi
fresco ovunque, e molti cominciano a usarlo con disinvoltura e
curiosità. In questo blog ad esempio è stato infilato
nel risotto e nella polenta (due piatti identitari del nord!), mentre
in “Ricette scorrette” Donata, pugliese, lo utilizza nella pasta
con i broccoli.

Lo zenzero viene consumato come radice
o rizoma ed è originario del sudest asiatico, ma più
che una novità nella cucina italiana è un
ritorno.

 

Già in età romana lo
zingiber era presente nella cucina: il nome stesso si deve
secondo la maggior parte degli studiosi dall’antica radice Tamil
“ingiver”, che arrivò a greci e romani attraverso la
mediazione dei mercanti arabi. Dello zenzero ne parla Plinio il
Vecchio nel I secolo a.C. e lo troviamo in molte ricette di Apicio
dal suo “De re coquinaria”.

Se del periodo altomedievale sappiamo
poco (ma le spezie verosimilmente continuarono a essere importate) lo
zenzero torna a essere una presenza importante nella cucina basso e
tardo medievale italiana ed europea insieme alle altre spezie
(zafferano, pepe, cannella, noce moscata, chiodi di garofano, etc.)
nel costruire il gusto della classe dominante.

È presente in quasi tutte le
pietanze, anche in molti piatti che possiamo senza fatica riconoscere
come gli “antenati” di moderne ricette. Come ad esempio in questa
“Salsa verde” proposta da Maestro Martino nel suo “Libro de
arte coquinaria”, un’opera manoscritta composta alla fine del
Quattrocento e che costituì una tappa fondamentale nella
storia della gastronomia italiana, all’epoca l’eccellenza europea.

Piglia
petrosillo et sarpillo et un pocha de bieda con qualche altra bona
herbicina, con un pocho di pepe, et zenzevero, et sale. Et pista
inseme molto bene ogni cosa distemperando con bono aceto forte, et
passarailo per la stamegnia. Et se voi che senta dell’aglio vi
poterai mettere a pistare inseme con le sopra ditte cose un pocho di
fronde di aglietti. Et questo secundo il gusto a chi piace.

Si tratta di una salsa per accompagnare
le carni, nel cui solco possiamo trovare ad esempio anche il famoso
“bagnet” piemontese, ma che grazie allo zenzero acquisisce un
sapore particolare. La spezia era ovviamente in polvere ma, anche se
meno fedele, converrebbe usare quello fresco grattugiato; prezzemolo
e timo (serpillo) per le erbette, o altre a piacere, e se non trovate
le "fronde” di aglio usate pure uno spicchio.

Nel caso ce ne fosse ancora bisogno, va
subito smentita l’a
ffermazione
che l’uso delle spezie, tanto nell’antichità quanto nei luoghi
di origine, avesse la funzione di coprire sapori e odori sgradevoli
che una cattiva conservazione degli alimenti inevitabilmente si
portava dietro. È vero al contrario che proprio di gusti si
trattava, basti pensare che solitamente erano molto più
costose del cibo che avrebbero dovuto conservare (non vi sarebbe
stata alcuna convenienza), ma è altrettanto dimostrato che in
effetti le spezie, così come molti degli aromi usati nelle
cotture, hanno capacità mediche. Nel medioevo infatti i medici
sostenevano che il “calore” delle spezie favorisse la digestione
dei cibi. Erano ovviamente prodotti costosissimi, di lusso, il cui
utilizzo era qualificante come classe dominante (in questo non è
cambiato nulla, basti pensare al ruolo oggi del caviale ad esempio).

L’uso
delle spezie cominciò a declinare a partire del Seicento in
seguito a vari fattori, come il loro arrivo in grandi quantità
e l’abbassamento dei costi che le rese meno esclusive, ma
soprattutto grazie alla nascita di nuovi gusti legati al crescente
prestigio della cucina francese, che le aveva bandite dalle proprie
ricette. Ormai nel Settecento erano sparite dai ricettari nobili e ne
rimanevano solo alcune in qualche cucina regionale italiana, come i
chiodi di garofano, la noce moscata e il pepe; praticamente nullo lo
zenzero nella cucina italiana.

Maestro Martino, Libro de arte
coquinaria
, a cura di Luigi Ballerini e Jeremy Parzen, Guido
Tommasi Editore, Milano 2001

Massimo Montanari, La fame e
l’abbondanza
, Laterza, Bari 1993

 

Informazioni su Andrea Perin

Architetto museografo, cultore della cucina per passione
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