Sarà capitato a tutti di essere in un ristorante all’estero e non conoscere la lingua.
In un anonimo ristorante nella campagna fuori Sarajevo il cameriere serbo, visto che non riusciva a farsi capire, ci accompagnò a vedere direttamente quello che non riusciva a spiegare.
Sotto una specie di tettoia con pareti in muratore vidi questa pentola e le papille gustative entrarono in contatto con le riminiscenze archeologiche: su un treppiede era posto un padellone di ferro con un coperchio e la brace sotto e sopra. Dentro carne con patate e pomodori.
Una specie di forno portatile, una forma ceramica conosciuta dalla preistoria fino a prima
dell’industrializzazione delle campagne. Ma quello che conta, menate colte a parte, fu un pranzo buonissimo.
Scocciai tutti finché non riuscii a comprarne una, facendomi poi spiegare qualcosa da un amico a Mostar. La pentola si chiama sać, si usa per cucinare la carne con le verdure e il massimo è utilizzare carni miste (consiglio dell’amico). Con qualche ricerca scopro che il nome viene dal turco e vuol dire qualcosa come “coperchio di ferro o di terracotta”, e che si usa anche per fare il pane.
Va bene, è vero, non è una vera e propria ricetta. Ma con questa pentola in mano si può cucinare qualsiasi combinazione adattandola alla situazione, una cucina meticcia di fatto.
Provo varie volte, e forse una delle migliori è una domenica in Val Grande, in autunno: carni di maiale, cavallo e vitellone, con verdure varie (patate, pomodori, cipolle, carote, cavolfiore) e spezie e profumi a piacere: aglio, rosmarino, peperoncino, etc. Il tutto a
freddo, con un po’ di olio e sale, alzando ogni tanto con un apposito attrezzo il coperchio per poter mescolare. Un’oretta di cottura più o meno.
La pentola è proprio in ferro, perciò dopo averla lavata è bene ungerla un po’ (l’olio
di semi è perfetto) per non farla arrugginire.